Fake news e corretta informazione
“Chiunque controlla i media, controlla le menti”. Queste sono parole di Jim Morrison, questa la realtà che purtroppo ci circonda. In una società all’avanguardia come la nostra, si può informare ed essere informati in modo libero, senza alcun tipo di limitazioni, pressioni o censure da parte del governo. L’articolo n.21 della Costituzione Italiana, infatti, stabilisce che: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.” Oramai il posto di questo “mezzo di diffusione” è stato prepotentemente preso da Internet e dai mass media.
Con l’avvento della tecnologia infatti, la libertà di informazione di cui parliamo ha acquistato un’ampiezza mai avuta in precedenza. Tutti, in rete, si presentano al tempo stesso come produttori e consumatori, tant’è che anche il più periferico tra gli utenti di internet può avere un potere della parola pari a quello di un grande potentato o di un governo privato, purché la notizia affascini e risulti interessante per il lettore. Spesso in Rete circolano tuttavia notizie confezionate ad arte e secondo precisi canoni giornalistici, che non si basano su fatti reali e sono solitamente create per influenzare l’opinione pubblica.
Si tratta di una falsa e talvolta sensazionalistica informazione presentata come fatto e pubblicata e diffusa su Internet. Stiamo parlando delle cosiddette “bufale”, in termini moderni “fake news”, vocabolo che identifica un’interessante evoluzione nella creazione di contenuti ingannevoli come mezzo per orientare le persone verso una determinata direzione. L’argomento della post-verità e delle fake news tiene banco sulla scena della comunicazione e della politica internazionale degli ultimi anni. L’Oxford Dictionary ha addirittura eletto “post-verità” parola dell’anno 2016 e la sua definizione contrappone i fatti oggettivi agli appelli alle emozioni e alle credenze personali, sottolineando come questi ultimi giochino oggigiorno una funzione più importante rispetto al passato nel formare l’opinione pubblica. Più che “formare”, è quindi un “manipolare”. Con i social media che si stanno pian piano trasformando in una piattaforma primaria per il consumo di informazioni, è palese che noi siamo appunto diventati un vero e proprio “campo da gioco” per la propaganda e le campagne di disinformazione.
Ma Internet non si può affatto definire un’entità a parte, perché obiettivamente non lo è, ma è semplicemente un riflesso della società, con tutto il bene e il male che deriva da essa. Secondo alcune ricerche i giovanissimi non saprebbero però distinguere le notizie vere e soprattutto credibili da quelle confezionate su misura, condividendo quest’ultime consapevolmente, motivo per cui molte scuole italiane si stanno attrezzando con ore di lezione ad hoc. È facile da capire che, alla base di tutto questo troviamo un problema percettivo, che nel tempo dovrebbe evolversi e portarci ad essere meno ingenui e più critici rispetto agli ambienti digitali. È da ricordare, infatti, che oggi viviamo sempre meno di hyperlink e il gioco delle relazioni fa sì che si condivida o interagisca con un contenuto anche solo perché ci si fida di qualcosa che ci ha mandato un amico. Si tratta però di notizie false al 99 %, se non al 100%, costruite nei minimi particolari per recare un danno a un personaggio, a un movimento, a una posizione o a un’idea; in particolare quelle che annunciano ripetutamente la morte di attori famosi amati o come, ad esempio, quella che volle Papa Francesco appoggiare la candidatura di Trump durante le presidenziali americane del 2016.
Fin qui si è attribuita la storia delle fake news agli ambienti digitali, alle abitudini degli utenti di Internet e alle loro logiche, ma la questione delle notizie false risale a molto tempo fa. Già nel XIII secolo a.C. il faraone Ramses il Grande descrisse una fantomatica battaglia di Kadesh come invece un reale trionfo per le forze dell’impero egiziano. Più tardi una vera e propria campagna di disinformazione, che ritraeva Marco Antonio come dipendente dal vino e col vizio delle donne, fu condotta da Ottaviano. Negli ultimi trent’anni si possono invece ricordare il falso massacro di Timisoara, che nel 1989 accelerò la caduta del regime del dittatore rumeno Ceausescu; poi gli arsenali di bombe chimiche irachene, mai trovate, con i quali il governo inglese e l’amministrazione americana giustificarono la seconda guerra del Golfo; ed infine la notizia falsa, o in ogni caso molto esagerata, diffusa dai media occidentali, di decine di migliaia di morti nei conflitti in Libia prima della caduta di Gheddafi.
È chiaro che in questo contesto risulta assolutamente di fondamentale importanza il ruolo del giornalista, a cui spetta seguire quelle regole essenziali che assicurano certezza e trasparenza della notizia e che, al contrario, molte volte vengono disattese secondo varie modalità, obbedendo a logiche diverse tra loro, lontane dal semplice concetto di informazione. Su un punto, dunque, bisogna essere d’accordo: sulla necessità di una notizia corretta e che risponda ai fatti. Perché non può esistere vera democrazia senza pluralismo e imparzialità degli argomenti trattati. In conclusione, tutti in coro dovremmo elevare un solo grido: “GIÙ LE MANI DALL’INFORMAZIONE!”.
Martina Crisicelli
Classe II, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.