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In Thailandia la schiavitù si trova sul mare

La schiavitù nel mondo ha origini molto antiche e il concetto di asservimento indica lo sfruttamento di una persona e costrizione nei suoi confronti perché esegua delle azioni, senza la possibilità di rifiutare a causa di violenze fisiche o psicologiche. Se sentiamo parlare di schiavitù oggi sicuramente ci verranno in mente l’Iraq, L’Africa, i bambini soldato, ecc.

Ma dobbiamo invece ricordarci che ci sono paesi meno noti che subiscono lo stesso fenomeno, anche se in forme diverse. In Thailandia, ad esempio, possiamo trovare un numero elevatissimo di persone schiavizzate, specialmente sulle navi per la pesca.

In questo paese c’è infatti un altissimo numero di immigrati che, per trovare un lavoro, si rivolgono a un “intermediario” pagandolo.

Costui li vende, senza la loro consapevolezza, a dei capitani di barche e, solo appena giunti nelle navi, questi uomini si accorgono di essere stati rivenduti. I lavoratori in questione pescano soprattutto per una società chiamata “Charoen Pokphand (CP) Foods” e, oltre al lavoro forzato, vengono messi in atto nei loro confronti anche autentici abusi e la privazione dei diritti, visto che essi vengono maltrattati, torturati e obbligati a lavorare più di 20 ore consecutive. Ad alcuni viene persino data la droga per ottimizzarne il lavoro, mentre durante la giornata vengono svolte delle vere e proprie esecuzioni in cui, per incitare i prigionieri a faticare di più, vengono selezionati degli individui per essere uccisi davanti agli occhi di tutti. Nonostante la schiavizzazione delle persone sia prettamente illegale nel mondo, anche in virtù delle “Dichiarazione dei diritti” promulgata dall’ONU nel 1948, in Thailandia è ancora molto diffusa e, senza contare le migliaia di bambine costrette a prostituirsi e spesso merce del florido e odioso turismo sessuale, circa 500 mila persone sono “utilizzate” per lavorare su navi, senza distinzioni di sesso o di età.

La maggior parte di questi individui sono immigrati, proprio perché vittime facilmente ingannabili da chi organizza questo sfruttamento. Riguardo agli schiavi del mare, in particolare, le potenziali soluzioni che lo stato thailandese sta cercando di mettere in atto sono che anche le piccole aziende assumano dei lavoratori di etnia diversa e che le grosse imprese possano aiutare senza danneggiare i propri interessi. Un’associazione del governo chiamata “Guardian” ha inoltre assunto dei lavoratori immigrati facendoli lavorare in delle solide catene di supermercati, mentre anche la “C.P.” sta cercando di darsi fare per sorvegliare i propri fornitori di cibo dal mare, soprattutto gamberi, spesso veri e propri sfruttatori di uomini per proprio profitto.

 

Gaja Di Pasquale

Classe II, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.

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