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HALLOWEEN: LE ORIGINI DELLA FESTA PIU’ SPAVENTOSA DELL’ANNO

Durante la notte di Hallowen bambini e ragazzi di tutto il mondo si travestono da streghe, mostri, vampiri o da altre creature sovrannaturali. Questa strana festa ha contagiato con il suo lato consumistico e profano tutta una serie di tradizioni che risalgono ad un passato lontanissimo. La festa di Halloween si basa su tutta una serie di rappresentazioni mentali sviluppatesi nell’età Vittoriana, dove il gusto gotico per l’occultismo, la negromanzia, la divinazione e il macabro in genere riscuoteva molto successo nei ceti medio-alti del mondo anglosassone.

A questi aspetti si unirono quelli più commerciali che si svilupparono qualche decennio dopo in America ove tutti i bambini andavano in giro per le case ripetendo il ritornello di “Trick or Treat?”, ovvero “Dolcetto o scherzetto?”.

E’ risaputo che la festa di Halloween affonda le sue radici nel mondo pagano e nel mondo agricolo celtico e mediterraneo.

Queste antiche tradizioni sono arrivate alle porte dell’era moderna attraverso le festività religiose cristiane.

Il termine Halloween è infatti un termine cristiano che trae origine dalla frase “All Hallow’s eve” che significa “Sera della festa dei Santi” (da hallow, che vuol dire santificare e dall’abbreviazione di evening “eve”, che vuol dire sera). Proprio nell’Alto Medioevo la notte del 31 ottobre venne a coincidere con la veglia in attesa della celebrazione di Ognissanti del giorno successivo.

Le grandi culture dell’antichità, soprattutto quelle agricole, avevano tutta una serie di culti rituali che scandivano i passaggi più importanti dell’anno. I romani celebravano alcune festività legate al ciclo di nascita-morte-rinascita della vita (già in uso presso gli Etruschi). Un culto, molto arcaico, era il Mundus Cereris, nel quale si pensava che solo tre giorni all’anno, precisamente il 24 agosto, il 5 ottobre e l’8 novembre, il mondo dei vivi e quello dei morti sarebbero entrati in contatto fra di loro. Stessa cosa avveniva nei Saturnalia: tra il 17 e il 23 dicembre le divinità degli inferi e gli spiriti dei defunti avevano la facoltà di tornare sulla terra e perciò andavano placati con offerte di cibo, banchetti e sacrifici.

Per quanto riguarda i culti celtici ricordiamo la Festa di Samhain, che intercorreva tra il 30 ottobre e il 2 di novembre, detta anche Trinuxtion Samoni o capodanno celtico. Nella concezione gotica Samhainera era visto come un vero e proprio “Principe delle Tenebre” o un oscuro “Signore della Morte”. Tuttavia in gaelico antico samain significa “fine dell’estate” e precisamente nella cultura celtica l’anno solare era diviso in due periodi: l’inverno (detto geimhreh) che iniziava con la festa di Samhain e l’estate (detta samradh) che iniziava con la festa di Beltane.

Il nuovo anno agricolo (da qui il fatto che Samhain risultasse essere il capodanno celtico) iniziava proprio con novembre, poco dopo la fine dei raccolti, che erano stati appena immagazzinati per l’inverno.

Una festa simile era presente anche nel mondo mediterraneo, come testimonia il Culto di Cerere che veniva celebrata proprio tra ottobre e novembre. Successivamente i latini scelsero di far coincidere l’inizio dell’anno con la primavera (da primum, ovvero prima stagione e il mese di aprile da aperire, ovvero che apre l’anno).

Ma come si svolgeva la festa di Samhain?

Innanzitutto essa era un momento di ricongiungimento di gruppi familiari, clan, tribù, persino nazioni intere.

Gli irlandesi, ad esempio, si riunivano presso la sacra collina reale di Tara con il fine di ringraziare le divinità per il buon raccolto e propiziarseli per quello che si andava ad iniziare nell’anno a venire. Contemporaneamente era un momento nel quale la terra andava simbolicamente a dormire, quindi a morire per poi rinascere la primavera seguente. Per questo motivo quei giorni erano considerati come un momento dove il mondo reale dei vivi si incontrava con quello di Annwyn (degli spiriti) e di Sidhe (delle fate). Inoltre si pensava che gli spiriti di coloro che erano morti sarebbero potuti temporaneamente sfuggire al loro stato per tornare a far visita alle persone care ancora in vita.
Per facilitare il loro arrivo e indicare loro la strada era consuetudine mettere delle candeline accese sopra il davanzale delle finestra. Allo stesso tempo si preparava del cibo in più e si apparecchiava per coloro che erano scomparsi, in modo che potessero unirsi alla tavola dei loro familiari ancora una volta. I romani e gli etruschi, ma anche i celti e perfino i cristiani, talvolta solevano recarsi direttamente nei luoghi di sepoltura, per pranzare con i defunti, tra le tombe.

Quindi nel passato il mondo dei morti non era visto in chiave negativa o paurosa, soprattutto quando riguardava il rispetto e il ricordo dei propri cari estinti. Questi ultimi infatti, quando giungevano in quei giorni sulla terra, venivano ad incontrare gioiosamente i loro familiari, che a loro volta preparavano banchetti in loro onore. Queste tradizioni permangono ancora in certi ambienti rurali.

In Sicilia la “Festa dei morti” è particolarmente sentita sia dai grandi, sia dai bambini che, come in un’anteprima del Natale, ricevono in dono giocattoli con lo scopo di rendere meno temibile e terribile l’immagine della morte, la nera signora con la falce, e mantenere un legame affettivo con chi non c’è più che, come un nume tutelare, veglia, dall’altrove, su di loro. Questa festa, in realtà, la ereditiamo proprio dalla tradizione celtica nota come Samhain, “di tutte le anime”, che si celebrava il 31 ottobre, l’ultimo giorno dell’anno e il primo dell’inverno. La nostra Festa dei morti, così come la conosciamo, venne introdotta, invece, verso la fine del X secolo e in Sicilia la sera prima si usava ripetere questa filastrocca:

 

“Armi santi, armi santi

io sugnu unu e vuatri siti tanti.

Mentri sugnu ‘ntra stu munnu di guai

cosi di morti mittiminni assai”.

 

Nell’ultima frase è chiaro il richiamo ai regali che, nella notte tra l’1 e il 2 novembre, ieri come oggi, vengono nascosti così da permettere ai più piccoli, l’indomani e come in un’avvincente caccia la tesoro, di cercarli in giro per casa e ricordare, trovandoli, le anime dei parenti che da “assenza” si sono fatte “presenza” in modo così festoso. A Palermo, come in altre località dell’Isola, si conservano ancora alcune usanze che rendono questa ricorrenza davvero suggestiva: fino a pochi anni fa i genitori, dopo cena, andavano in uno dei tanti mercatini rionali allestiti in slarghi e piazze cittadine, come quello dietro Piazza Olivella, nel centro storico di Palermo, per acquistare, all’insaputa dei bimbi, piccoli regali resi grandi dalla sorpresa e dal mistero che avvolgeva chi li aveva mandati. Una tradizione, questa, che non è sfuggita al Pitrè che riporta che “i bambini siciliani usavano lasciare le loro scarpe vecchie in qualche angolo della loro abitazione, per ritrovare poi al loro posto delle scarpe nuove, oppure trovarle ricolme di dolciumi”.

I dolci dei morti siciliani, famosi in tutto il mondo,rappresentano quell’antico ricordo del cibo che si lasciava agli spiriti dei defunti proprio in questi giorni.

In Sardegna si racconta che, nella notte tra l’1 e il 2 di novembre, era uso comune in paese il porre candele accese alle finestre, apparecchiare le tavole con posti in più e lasciare del cibo vicino alla porta d’ingresso delle case.

Nel mondo celtico, incentrato sul tempo cosmico rappresentato dal cerchio di nascita-vita-morte-rinascita, il passaggio dall’estate all’autunno-inverno era proprio il momento in cui la terra moriva per poi rinascere. La festa di Samhain aveva tutta una serie di aspetti mitico-rituali articolati che comprendevano la rottura delle norme tradizionali di comportamento, riti legati alla fertilità, sacrifici di animali (in genere venivano sacrificati i primi nati, come segno propiziatorio di fecondità nelle greggi e nelle mandrie). Un altro suggestivo rituale il cui ricordo si è tramandato è quello del Falò Sacro.

Il 30 ottobre, nelle colline della Britannia, della Gallia, dell’Irlanda e della Caledonia venivano preparate delle enormi cataste di legno. Il 31 ottobre queste venivano accese e, in concomitanza, i fuochi dei focolari di ogni singola abitazione di tutti i villaggi venivano spenti per tutta la notte. L’indomani, il primo giorno di novembre, i druidi (dignitari appartenenti alla classe dirigente sacerdotale) si recavano di casa in casa a portare le braci ardenti del sacro fuoco nuovo, che simbolicamente delineava il trapasso dell’anno vecchio in quello che era appena incominciato.

Questo era più o meno quello che avveniva nelle origini. Ma cosa accadde con l’avvento del Cristianesimo?

I primi padri della Chiesa, in seguito all’Editto di Tessalonica del 380, con il quale l’imperatore Teodosio imponeva il Cristianesimo come religione di Stato e iniziava a perseguitare tutti coloro che veneravano gli antichi dei, dovettero lavorare per molti secoli al fine di far digerire la loro nuova fede ai pagani.
Nel 835 d.C., vista le resistenza dei culti campestri legati a Samhain nel mondo celtico e a Cerere, Demetra e altre divinità minori in quello mediterraneo, il Papa Gregorio II decise di spostare la data nella quale si celebravano tutti i Santi dal 13 maggio al primo di novembre. Quasi due secoli dopo, nel 998, Odilone di Cluny iniziò a far recitare nel suo monastero benedettino una preghiera “pro requie omnium defunctorum” il 2 di novembre.

Ben presto questa idea venne accolta da Roma, che la istituzionalizzò, inserendo molte delle attività cultuali pagane nel rito cristiano, mettendo in campo quel sincretismo religioso che le ha permesso, con un lavoro lungo secoli, di far digerire in maniera quasi indolore la nuova religione, poggiandola sulle tradizioni e sulle credenze di quelle vecchie.

Difatti le offerte di cibo ai defunti, i fuochi e le luci accese, le maschere per spaventare gli spiriti malvagi tipiche delle tradizioni cristiane rurali, sono tutti aspetti pagani, perfettamente conservati all’interno di usanze e tradizioni cristiane. Questo viaggio nel passato abbraccia anche il mito che sta alla base delle famose zucche di Halloween, ovvero la leggenda di Jack O’Lantern.

Jack O’Lantern, anche detto Stingy Jack, era secondo una vecchia leggenda irlandese l’ubriacone del villaggio, oltre che un instancabile scommettitore. Si dice che una volta, proprio durante una notte di Halloween, incontrò il diavolo per strada e lo invitò a bere a casa sua. Più tardi, tutti e due abbastanza alticci, si fecero una passeggiata e arrivarono davanti ad un vecchio albero. Jack, sempre in cerca di scommesse, sfidò quindi il diavolo ad arrampicarsi sopra di esso. Il diavolo, sorridendo, salì sull’albero con facilità, ma Jack incise una croce sulla corteccia, intrappolandolo lassù grazie a quel simbolo sacro.
A questo punto Jack gli propose un patto: il diavolo, se voleva poter tornare a terra, doveva promettere di non tentarlo più. Il diavolo accettò. Quando, anni dopo, Jack morì, le porte del Paradiso gli furono negate a cause dei suoi vizi. Jack si diresse quindi all’inferno, ma il diavolo gli impedì l’accesso per vendicarsi della sua bravata, condannandolo a vagare nel limbo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, senza meta. Gli venne però dato un tizzone ardente, per illuminare il suo cammino nell’oscurità. La tradizione afferma che Jack mise il tizzone in una rapa o una cipolla svuotata, in modo da farlo durare più a lungo, e così iniziò il suo solitario e triste cammino per l’eternità, con la possibilità di accedere al nostro mondo solo la notte dell’anniversario della sua bravata col diavolo, ad Halloween.

Quando agli inizi del secolo ci fu la carestia delle patate in Irlanda, molti irlandesi migrarono in America, portando con loro le loro antiche tradizioni e storia, compresa quella di Jack O’Lantern. Negli Stati Uniti però trovarono le zucche, che si adattavano meglio ad essere intagliate rispetto alle rape o alle cipolle e da allora è nata la tradizionale zucca di Halloween.
Tutte queste antiche pratiche e credenze religiose nascono in un mondo antico, mosso da valori e principi in parte sconosciuti al nostro frenetico mondo moderno e urbanizzato, come l’importanza dei cicli delle stagioni e i raccolti. Ma la cosa che più ci accomuna con tutte quelle generazioni di uomini dimenticate è il grande mistero del cuore umano, che non si vuole mai rassegnare alla scomparsa dei propri cari estinti e delle persone a cui ha voluto bene. E infine, soprattutto, che ancora rimane, oggi come allora, affascinato e allo stesso tempo terrorizzato dal grande mistero della morte e di che cosa avviene dopo di essa.

 

Maria Laura Aragona

Classe 2A

IC Primo Milazzo (ME)

Scuola Secondaria di Primo Grado “Garibaldi”

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