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Intervista impossibile… all’Ammiraglio Luigi Rizzo

La partecipazione alle recenti manifestazioni cittadine in onore dell’illustre Milazzese, culminate con la consegna della bandiera di combattimento alla fregata che ne porta il nome, sono state occasione per gli alunni delle classi terze della Zirilli di accostarsi in modo più vivo e coinvolgente a personaggi e grandi eventi contemporanei, consentendo di scoprire ed esplorare aspetti per loro inediti di storia locale e nazionale.

Gli alunni della classe terza B hanno rievocato a loro modo gli elementi salienti della biografia dell’”Affondatore”, dando vita ad un dialogo immaginario con Luigi Rizzo.

(L’insegnante)

 

III B: Buongiorno Ammiraglio, siamo molto emozionati di essere qui con Lei e la ringraziamo del tempo che ci dedica.

L.R.: Buongiorno ragazzi, mi intrattengo volentieri con voi. Parlare con i giovani è bello e importante!

III B: Siamo fieri e orgogliosi perché grazie a Lei la nostra Milazzo guadagna stima e onore.

L.R.: Dovete essere fieri di tutti i figli migliori di Milazzo, anche di quelli che agiscono per il bene della città silenziosamente e senza i riflettori puntati. Dovete essere fieri anche di voi stessi se sarete sempre buoni cittadini, di Milazzo e dell’Italia.

III B: Cosa lo ha spinto ad entrare prima nella marina mercantile e poi in quella militare?

L.R.:  Sentivo il mare nel sangue. Provengo da una famiglia di tradizioni marinare: mio padre, comandante di gran cabotaggio, ha navigato a lungo nella Marina Mercantile; mio zio Giovanni, lui pure di Milazzo, con precedenti garibaldini, nel 1866 a Lissa muore nell’affondamento della pirofregata Re d’Italia. Mi sono imbarcato per la prima volta a 18 anni, fresco di diploma all’Istituto nautico di Messina, era il 1905.

Poi è scoppiata la guerra, la Prima Guerra Mondiale, e la mia passione per il mare si è unita al dovere di mettermi a disposizione del mio Paese anzi, come si diceva allora, della Patria.

Dal 1915 al 1916 sono stato destinato alla difesa marittima di Grado. Qui ho ottenuto la medaglia d’argento al valor militare; successivamente, nel 1917 è arrivata la seconda medaglia d’argento per la cattura di due piloti di un idrovolante austriaco ammarato per avaria.

III B: Come e quando ha ottenuto la sua prima medaglia d’oro?

L.R.:  Nel dicembre del 1917, in seguito all’affondamento della corazzata guardacoste austriaca Wein, avvenuto nella rada di Trieste; nello stesso mese per le missioni di difesa delle foci del Piave sono stato decorato con una terza medaglia d’argento e promosso tenente di vascello per meriti di guerra, passando in s.p.e. (servizio permanente effettivo, n.d.r).

 

III B: Citiamo anche la quarta medaglia d’argento, quella legata all’operazione Buccari 

L.R.: E’ stata un’incursione militare effettuata  nella notte tra il 10 e l’11 febbraio 1918 nella baia di Buccari, dove stazionavano diverse unità navali austriache. In azione i MAS 94 (sottotenente di vascello Andrea Ferrarini), 95 (tenente di vascello compl. Odoardo Profeta De Santis), 96 (capitano di corvetta Luigi Rizzo), con a bordo il comandante di missione capitano di fregata Costanzo Ciano e Gabriele D’Annunzio. ALL’1.20 i Mas sganciarono i siluri contro gli obiettivi individuati, i piroscafi austriaci 1, 2, 3, 4. Dei sei, solo uno esplose, dal momento che il naviglio austriaco era protetto da efficienti reti antisiluranti. L’allarme fu immediato e i MAS imboccarono subito la via del rientro, tra l’incredulità degli Austriaci che mai avrebbero supposto la possibilità per unità navali italiane di penetrare “indisturbate” nel porto. Tre bottiglie con i colori nazionali furono lasciate su galleggianti nella parte più interna della baia, con, all’interno, un messaggio scritto da D’Annunzio; ciò diede all’azione il soprannome di “beffa di Buccari”. Questo evento, di per sé non particolarmente decisivo dal punto di vista militare, ebbe una straordinaria risonanza per varie ragioni: dimostrò la mancanza di coordinamento nel sistema di vigilanza costiero austriaco a fronte dell’audacia dei marinai italiani; rinvigorì lo spirito dei soldati e della popolazione, entrambi molto demoralizzati dopo la terribile sconfitta di Caporetto.

 

III B: Ci racconti di Premuda… È vero che dell’operazione il comando italiano non era stato avvertito?

L.R.: Era il 10 giugno 1918. In effetti c’era poco tempo, bisognava agire con grande rapidità o perdere un’opportunità del genere. Mio compagno di missione era il guardiamarina di complemento Giuseppe Aonzo, i mas dell’operazione il 15 e il 21. Ci avvicinammo il più possibile alle corazzate austriache senza dare nell’occhio, puntando su due fattori: rapidità e sorpresa. Mi lanciai sulla Santo Stefano con due siluri, che si schiantarono sul fianco della nave: colpita ed affondata! Giuseppe ebbe la mia stessa abilità ma non la mia stessa fortuna, nel senso che i siluri del mas 21 colpirono la Tegetthoff, senza però affondarla. Per quest’azione fui insignito della Croce di Cavalier dell’Ordine Militare di Savoia: in quell’epoca era in vigore il divieto di decorare la stessa persona con più di tre medaglie, cumulativamente, d’oro e d’argento. Qualche anno dopo questa limitazione fu abrogata (R.D. 15 giugno 1922 n.975, n.d.r), così in virtù del Regio Decreto 27 maggio 1923 mi fu revocata la nomina a Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia e concessa la medaglia d’oro al valor militare per l’impresa di Premuda.

III B: Il suo nome è indissolubilmente legato al MAS. Ce lo descrive brevemente?

L.R.: Certamente! Si tratta di una piccola imbarcazione utilizzata come mezzo d’assalto veloce durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, dalle 20-30 tonnellate di peso. A bordo necessitava di un equipaggio formato da una decina uomini e aveva in dotazione due siluri, alcune bombe di profondità, una mitragliatrice o un cannoncino. Dimenticavo…la sigla significa motoscafo armato silurante.

III B: Ha ottenuto anche riconoscimenti stranieri?

L.R.: Sì, ragazzi! Sono stato nominato Ufficiale dell’Ordine della Legione d’Onore di Francia e Membro Onorario del Distinguished Service Order del Regno Unito; mi è stata concessa la Navy Distinguished Service Medal degli Stati Uniti.

III B: Cosa si prova nell’essere il militare più decorato della Storia d’Italia?

L.R.: La domanda è diretta e spontanea ma la risposta non è semplice né immediata. Cercherò di spiegare il senso di queste parole. Sarei ipocrita se dicessi che non ne sono fiero! Mentre ascoltavate le mie parole, che mi hanno riportato ai tempi della mia giovinezza, agli entusiasmi, le energie, il coraggio e le passioni di questa bellissima stagione della vita, ho visto i vostri occhi brillare, avete immaginato battaglie, vittorie, rulli di tamburi, marce militari, onori, medaglie, Mas guizzanti come creature del mare ma… non dimenticate mai che i miei sono stati tempi molto difficili e dolorosi. La guerra è un’esperienza terribile, si soffre, si combatte, si muore. Bisogna mettere in conto di rischiare la propria vita, di sacrificare gli affetti, di partire e non tornare mai più. Le medaglie e i titoli mi ricordano sempre e soprattutto che, nelle condizioni date, ho amato e servito l’Italia, battendomi con onore contro i nemici di allora. Voi siete fortunati perché siete nati in tempi di pace e anche se, come dicevano i Romani antichi “Se vuoi la pace prepara la guerra”, siate soldati e ambasciatori di pace, servite l’Italia con gli strumenti dell’onestà, della determinazione, della conoscenza, del lavoro, del dialogo, del rispetto per i popoli e le nazioni. Servite il Paese mettendo a frutto i vostri talenti e non abbiate paura di raccogliere le sfide, di agire, d’immaginare il futuro.

III B: Ammiraglio, un particolare della sua biografia ci ha colpito, cioè il suo matrimonio a dir poco avventuroso con Giuseppina…ci racconta?

L.R.: Ho conosciuto Giuseppina tramite il padre, Angelo Marinaz, medico e mio amico. Ero giovane e vivace e lei una “mula” tosta. È stato amore a prima vista. Ci sposammo in una Grado deserta nell’ottobre del ’17, dopo la terribile sconfitta di Caporetto, di sera, mentre fuori tuonava il cannone, e testimone fu niente meno che l’ammiraglio in capo Thaon de Ravel. Al termine della breve cerimonia, accompagnai Giuseppina all’imbarco su un mezzo per Venezia e, prima di tornare ai Mas, le dissi: «Se resti vedova, hai la mia pensione e la mia famiglia che penserà a te. Vai subito in Sicilia appena sai che sono morto». In compagnia del padre e delle sorelle fuggì verso Venezia, mentre io mi inoltravo nella laguna per affrontare il nemico. Ci rivedemmo lì settimane dopo.

III B: Come ha avuto la forza di lasciare Giuseppina subito dopo le nozze?

L.R.: È stato molto, molto difficile! Sapevo che quella poteva essere l’ultima volta, a lei confessai paura e angoscia ma anche la speranza di ritornare sano e salvo. Sono stato fortunato…la nostra storia è durata tutta la vita, mi ha dato tre figli e l’immensa gioia di un grande amore.

III B: Lei ha partecipato anche al Secondo Conflitto Mondiale. Quali sono i ricordi per Lei più significativi?

L.R.: Sono ricordi significativi e dolorosi di una guerra terribile e di un periodo tragico per l’Italia, in preda a grande disorientamento e dilaniata anche dalla lotta tra Italiani. A seguito dell’affondamento da me disposto delle navi mercantili «Duilio» e «Giulio Cesare» l’8 settembre del ’43, per evitare che cadessero in mano ai tedeschi, ci fu l’arresto e la detenzione nel carcere tedesco di Klagenfurt. Proprio qui appresi che mio figlio Giorgio, di appena 22 anni, comandante di una squadriglia MAS, era rimasto ucciso da una bomba degli stukas (aerei bombardieri tedeschi, N.d.R.).

Eroe della Prima Guerra, ero un prigioniero scomodo per i nazisti che, circa tre mesi dopo, mi trasferirono nel campo di concentramento di Hirschegg, vicino al lago di Costanza.

Ebbi qui la possibilità di rivedere Giuseppina per poche ore e lo straordinario conforto d’essere raggiunto dalla mia amatissima figlia Maria Guglielmina che, sorprendentemente, aveva chiesto e ottenuto il “permesso” di condividere le mie sofferenze.

III B: Quando e da chi è stato liberato?

L.R.:  Nel maggio del 1945, dalle truppe francesi del generale Lattre de Tassigny

III B: Com’è stata la sua vita, una volta ritornato finalmente in abiti civili?

L.R.: È stata quella di ogni uomo, non sono mancati dolori e dispiaceri ma ho avuto anche gioie e soddisfazioni. Sono rimasto sempre uomo di mare e di azione, mi sono molto dedicato agli affetti familiari e ho trascorso momenti bellissimi nella mia, nella nostra Milazzo.     

III B: Ammiraglio, qual è stata la sua battaglia più difficile?

L.R.:  Sicuramente l’ultima, quella decisiva, quella di ogni essere umano… ma questa, ragazzi, è un’altra storia.

 

Si conclude così il nostro dialogo ideale con Luigi Rizzo. Ha ragione Lui… questa è un’altra storia.

L’ Ammiraglio, l’eroe pluridecorato, il Conte di Grado e di Premuda, “l’Affondatore” combatte in silenzio, con dignità e con il rispetto che si deve al nemico anche l’ultima battaglia, quella contro il male che lo aveva aggredito e che, per un attimo, gli regala l’illusione di farcela, ancora una volta, ancora per un po’. Si spegne a Roma il 27 giugno 1951 andando via in punta di piedi, portando nel cuore il desiderio di non dare fastidio, di non essere di peso.

La sua Milazzo, la famiglia, gli amici di sempre e i compagni d’arme, almeno quelli che erano sopravvissuti, lo accompagneranno nell’ultimo saluto, al cospetto del tricolore italiano che Egli ha servito con coraggio e con onore.

La classe III B Zirilli  

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