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La schiavitù esiste ancora

Il 10 dicembre 1948 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò e proclamò la “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”, il cui articolo 1 sancisce che: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.” Ogni essere umano perciò nasce libero. Ma cos’è in realtà la libertà? Nei vocabolari si legge che essa è la “condizione che permette a un individuo di agire senza impedimenti, ovvero di scegliere se agire o non agire, senza che in alcuno dei due casi debba subire costrizioni fisiche”. Al contrario, invece, quando un individuo è completamente e soprattutto involontariamente assoggettato ad un altro individuo, e costretto a esercitare un lavoro o a prestare un servizio, senza in molti casi, un’effettiva e concreta retribuzione, in quel caso, allora, si parla di schiavitù. Schiavo, dunque, è colui che viene privato di tutti i suoi diritti di persona libera e diventa proprietà esclusiva di un altro essere umano, oltre ad essere considerato e trattato come se fosse un vero e proprio oggetto. Probabilmente la schiavitù è nata con l’uomo stesso. I primi grandi imperi come quelli degli assiri, dei babilonesi o degli egizi, si fondavano sul particolare legame che si instaurava tra il sovrano e i suoi sudditi, che erano considerati alla stregua degli schiavi.

Nel mondo antico, presso i Greci e i Romani, la schiavitù era un fatto normale, gli schiavi facevano parte della società ed il loro lavoro e la loro presenza erano indispensabili per il benessere di essa e dell’economia stessa. Il filosofo greco Aristotele, nel suo trattato “Politica”, affermava addirittura, che la condizione di essere schiavo era giusta e utile, per volere della Natura, come se essere sottomesso fosse un volere divino. Catone e Varrone, sostenevano inoltre che lo schiavo fosse una proprietà, un oggetto o un animale, da eliminare e sostituire una volta diventato troppo vecchio. Gli antichi giustificavano quindi, l’asservimento di un uomo ad un altro, perché lo consideravano simile ad una bestia, e per questo motivo inferiore. Gli schiavi non avevano libertà, nessun diritto e tantomeno una vita privata. Erano venduti e acquistati, e spesso il padrone vendeva i loro figli per evitare che i legami affettivi facilitassero le ribellioni. Al termine del mondo antico la schiavitù continuò sotto diverse forme, dai servi della gleba dell’epoca medievale fino a giungere alla “tratta degli schiavi” dell’età moderna.

    

 

E fu appunto dopo le grandi scoperte geografiche del XVI secolo ed in particolare, a seguito della scoperta dell’America che, le popolazioni indigene che vi abitavano, vennero costrette dagli occidentali ai lavori forzati nei campi, nelle miniere di oro e di argento. Successivamente, quando gli Europei iniziarono a coltivare in modo più sistematico i nuovi terreni, decisero di utilizzare gli schiavi africani, più adatti a quei tipi di lavori, rispetto alle popolazioni originarie che erano state quasi tutte sterminate ed i pochi rimasti erano poco resistenti ad attività così stremanti. E fu così che ebbe inizio un vero e proprio commercio di schiavi, detto “tratta”, particolarmente redditizio per i negrieri, ma che tuttavia fu causa per l’intera Africa di una catastrofe demografica di proporzioni immani. Tra il XV secolo e il XIX secolo furono deportate circa 50 milioni di persone, tra uomini e donne, e ciò, appunto, fu talmente devastante che il continente ne risente ancora oggi.

L’abolizione ufficiale della schiavitù avvenne solo verso la metà del Settecento, quando i principali paesi industrializzati, soprattutto gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, emanarono delle apposite leggi per interrompere quella che è ricordata come una delle più orrende e tragiche pagine che la storia umana conosca, la “tratta dei neri”.

Nonostante i progressi raggiunti, attualmente la schiavitù non si può però definire un retaggio del passato, non è per niente finita, anzi, continua ancora oggi e gli schiavi esistono, ancora oggi. Tanto è vero che sono presenti nel mondo quelle che potremmo definire, le “moderne” forme di schiavitù, che sono diffuse principalmente nel continente africano, asiatico e anche in una buona parte dell’Europa e dell’Asia centrale. La scarsità di dati a disposizione in alcune regioni della Terra non permette, purtroppo, o per fortuna, di stimarne correttamente le dimensioni, i cui numeri restano drammaticamente alti e, probabilmente, sottostimati. Sono i cosiddetti diseredati della terra, che provengono dai paesi più poveri e che spesso cercano di scappare dalla guerra e dalla fame, nella speranza di una vita migliore, e che invece, vengono attirati nel desolante vortice della schiavitù, perché ad esempio non riescono a pagare i debiti contratti, e il loro commercio finisce per arricchire le organizzazioni criminali. Lo schiavismo, quindi c’è sempre stato e continua ad essere la più squallida forma di sfruttamento dell’uomo sull’uomo… Ed in particolar modo sui bambini, i più deboli ed indifesi. Sono proprio tantissimi i piccoli sfruttati, a cui è negata l’infanzia che gli spetta, il diritto al gioco e all’istruzione, elementi fondamentali per un sano sviluppo individuale e sociale. Con le loro piccole manine sono costretti a lavorare, per ore ed ore, davanti a dei telai meccanici, in stabilimenti tessili di grandi multinazionali, oppure a cucire palloni di cuoio, in condizioni precarie e con paghe misere.

Bambini che lavorano come braccianti nelle risaie vicino al villaggio di Gobindpura nel distretto di Bathinda. Photo By Kulbir Beera /Hindustan Times

Con le loro fragili schiene sono obbligati a trasportare pesanti carichi di grano. Il loro delicato e sottile equilibrio psicologico, segnato per sempre da abusi, violenze e sevizie. Nei paesi dove sono in corso terribili guerre, sono rapiti e obbligati a combattere in conflitti di cui non conoscono nemmeno il significato, se mai la guerra ne avesse uno; vengono persino drogati, per riuscire a sopportare le traumatiche esperienze che devono vivere ogni giorno. Per non parlare poi delle donne provenienti principalmente dall’Africa sub-sahariana, dall’Europa dell’Est e dall’America Latina, costrette a prostituirsi in tutto il mondo. La forma di sfruttamento più diffusa è, tuttavia, la compravendita di persone. Ogni anno infatti milioni di donne e bambini, vengono portati e venduti con la forza o con l’inganno in altri paesi e destinati a vari tipi di lavoro forzato. Quando un immigrato clandestino e la sua famiglia non riescono a pagare il debito contratto con i trafficanti che hanno organizzato il loro viaggio della speranza, l’individuo viene ridotto in schiavitù e consegnato alle mafie locali che gestiscono il traffico di persone.

E mentre gli uomini sono destinati al mercato del lavoro coatto, come l’agricoltura, la pesca e l’attività nelle miniere, le donne, oltre alla prostituzione, sono sfruttate come domestiche nelle case di persone insospettabili.

Anche se al giorno d’oggi la schiavitù ci appare come una fotografia sfocata del passato, in fondo non è poi così sbiadita come tutti noi forse vogliamo credere. Non ce ne rendiamo conto, ma ci circonda. È tuttora intorno a noi. E, come afferma Pier Paolo Pasolini: “Finché l’uomo sfrutterà l’uomo, finché l’umanità sarà divisa in padroni e servi, non ci sarà né normalità né pace. La ragione di tutto il male del nostro tempo è qui.” Non dimentichiamolo.

 

Martina Crisicelli

Classe II, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.

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