Rita Atria, una vittima indiretta di mafia
“Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare. Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo.” Rita Atria aveva solo diciassette anni, ma già sapeva cose più grandi di lei. Scrive questa frase poco prima di lanciarsi dal settimo piano del palazzo dove abitava, a Roma, dove viveva in segreto in quanto testimone di giustizia. Un gesto decisivo che le ha tolto la vita solo dopo una settimana dalla strage in cui è stato ucciso il magistrato Borsellino, ormai per lei come uno zio. Spinta ha fare questo gesto brutale è stata la paura, la paura che dopo il magistrato sarebbe toccato pure a lei, che non si sentiva più protetta e per questo ha preso questa decisione. Nella sua breve vita Rita ha vissuto sempre con il rancore per la morte di un pezzo importante della mia famiglia, suo fratello e suo padre, uccisi dalla mafia del suo paese, Partanna, dove è nata e ha vissuto. Ricordata come “la picciridda” di Paolo Borsellino, che è stata la prima persona ad ascoltare la sua storia e a cui ha raccontato tutto quello che il fratello le aveva detto prima di morire, questa ragazza ha rinunciato a tutto pur di avere giustizia per la morte dei suoi cari, denunciando persino la sua famiglia, ovvero sua madre, che l’ha da subito rinnegata. L’unica persona che le ha dato coraggio è stata la cognata Piera Aiello, che l’ha sostenuta e anche lei ha raccontato tutto quello che sapeva, dopo la morte del marito. Rita è una ragazza che dovrebbe essere un esempio di coraggio per tutti e tutti dovrebbero seguire quello che ha scritto nel suo tema all’esame di Stato del 5 giugno 1992, cioè che non bisogna arrendersi mai, perchè la giustizia e la verità vinceranno su tutto, e che sperare in un mondo migliore non costa niente. Perchè “se tutti provano a cambiare, forse in un mondo migliore riusciremo a vivere.”
Giulia Bellantone
Classe III, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.