Una pagina tagliata di storia
Gli anni ’70 del Novecento vengono chiamati “Anni di Piombo” proprio perché, in pochi minuti, una fantastica giornata di sole poteva trasformarsi in tragedia. Furono momenti di terrore causati da forze armate estreme che, per oltre un decennio, insanguinarono a vario modo l’Italia, in piena crisi economica e sociale dopo il Boom economico degli anni ’60.
La data di inizio di questo periodo fu il 12 dicembre 1969, giorno in cui in Piazza Fontana a Milano scoppiò una bomba che fece 17 morti e 88 feriti. Altri tragici eventi furono poi la strage di Piazza della Loggia a Brescia il 28 maggio 1974 e nell’agosto
dello stesso anno sul treno “Italicus”, presso San Benedetto Val di Sambro; e ancora, nell’agosto 1980, alla stazione di Bologna.
Tutti questi attentati furono opera dichiarata del “terrorismo nero” – così venivano chiamati i neofascisti di destra – il cui obiettivo era quello di creare in Italia terrore e sfiducia nel sistema politico e democratico della nazione, privando ogni libero cittadino delle libertà civili acquisite con tanti sacrifici. Non diverso il “terrorismo rosso”, portato avanti da gruppi di estrema sinistra come le Brigate Rosse che, attraverso singoli attentati diretti a “servi” dello Stato e delle istituzioni, miravano allo stesso obiettivo di “destabilizzare” il Paese e provocare la rivoluzione sociale. Morirono così in quegli anni, pesanti come il piombo, tantissimi uomini: carabinieri, poliziotti, giornalisti, scrittori, uomini politici, magistrati e gente innocente, uomini presi di mira perchè compivano semplicemente il loro dovere o manifestavano delle idee che non piacevano perchè rispettose delle leggi e della democrazia. Fu gente privata del diritto primario che ogni comune cittadino deve avere, e cioè la libertà: libertà di pensiero, di esprimere le proprie opinioni o di fare una passeggiata, perché oramai anche quello era negato.
A volte l’obiettivo era privato della vita, anche per dare esempio, come accadde all’onorevole Aldo Modo, capo della “Democrazia Cristiana”, il più importante partito del dopoguerra che stava iniziando un “compromesso” politico con i partiti di sinistra e il Partito Comunista. Moro fu rapito il 16 marzo del 1978, dopo averne ucciso gli uomini della scorta, e fu tenuto prigioniero ricattando lo Stato italiano per quasi tre mesi.
Ad un rifiuto di scendere a patti, fu barbaramente ucciso e fatto ritrovare morto il 9 maggio 1978 per lo sgomento della nazione, una nazione che però seppe reagire e decidere da che parte stare. “Vogliamo il rispetto, la dignità, la democrazia, non guerra e terrorismo”: erano questi, nonostante tutto, gli slogan che la gente onesta cercava di diffondere. La storia di quegli anni merita ora di essere raccontata, ricordata, e non solo per un moto degli affetti, non solo per la gratitudine verso il coraggio di uomini delle forze dell’ordine e della gente comune e la rettitudine di tanti, ma perché quel coraggio e rettitudine significarono salvare il popolo italiano dal disordine e contribuire a diffondere la pace nella società. Ricordare ancora oggi, a distanza di quarant’anni, questa pagina di storia che qualcuno vorrebbe strappare perchè brutta e piena di misteri non sempre risolti, di colpevoli quasi mai trovati, serve invece ad evitare il ripetersi di quanto accaduto e, soprattutto, a fare da monito alle nuove generazioni affinché non cadano nell’errore delle ideologie e nella violenza che ancora oggi assalgono la nostra società, anche se in forma diversa.
Marika Coppolino
Classe III, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.