domenica, Dicembre 22, 2024
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L’ESEMPIO DEL CORAGGIO E IL VALORE DELLA MEMORIA

GLI ANGELI CUSTODI

 

“Nell’anno in cui si celebra il XXVI anniversario delle stragi di Capaci e di via d’Amelio in cui persero la vita Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e le loro scorte formate dagli agenti della Polizia di Stato Antonio Montinaro, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina abbiamo riflettuto  sul sacrificio di uomini e donne dello Stato che hanno creduto e si sono impegnati per affermare i valori della giustizia e della libertà nel nostro Paese.

Gli appartenenti alla Polizia di Stato, impiegati nei servizi di scorta, attraverso il proprio sacrificio, rappresentano l’esempio e la consapevolezza di chi rischia ogni giorno la propria vita per proteggere un’altra persona. Spesso si parla di loro tra le pagine di articoli dedicati ai protagonisti delle missioni antimafia o quando si parla di vittime delle stragi. Ma al loro quotidiano impegno si deve molto di più. A loro dobbiamo riconoscere il grande merito di aver sacrificato la propria vita alla vita degli altri.

È dovere di tutti tenere vivo il ricordo di chi si schiera dalla parte della legalità, di chi riafferma con l’impegno personale, quotidiano, il valore della vita e dell’onestà, della giustizia e della libertà.”

Anche noi abbiamo voluto ricordare la vita e l’esempio di questi angeli che, nel compiere fino in fondo il proprio dovere, hanno donato la propria vita e ci hanno lasciato un esempio luminoso di come ciascun uomo,  acquisisca pieno valore solo se compie coscienziosamente e responsabilmente il  proprio  dovere, qualunque sia il lavoro che è chiamato a svolgere.

LA STRAGE DI CAPACI

Nel tragitto da Punta Raisi a Palermo, all’altezza dello svincolo autostradale di Capaci, un ordigno di potenza inaudita travolge la Fiat Croma blindata su cui viaggia il giudice Giovanni Falcone e le due auto della scorta. Falcone è, insieme a Borsellino, il simbolo della lotta dello Stato alla mafia

VITO SCHIFANI

Vito Schifani era un agente di polizia, divenuto famoso   perché faceva parte della scorta del magistrato Giovanni Falcone. Nacque il 23 Febbraio del 1965 a Palermo, morì  il 23 Maggio del 1992 a soli 27 anni durante la “strage di Capaci”, in cui persero la vita il Magistrato Giovanni Falcone e la moglie  Francesca Morvillo.  Era al volante della prima delle tre Fiat Croma che riaccompagnavano  Giovanni Falcone a Palermo, di ritorno da Roma. Al suo fianco stava l’ agente scelto Antonio Montinaro e dietro Rocco Dicillo.

Nell’esplosione, avvenuta sull’Autostrada A29 all’altezza dello svincolo per Capaci, i tre agenti morirono sul colpo, dato che la loro Croma marrone fu quella investita con più violenza dallo scoppio della bomba, tanto da essere sbalzata dal manto stradale in un giardino  a più di dieci metri di distanza. Vito Schifani lasciò, nel grande dolore, la moglie Rosaria Costa di 22 anni e il figlio Antonio Emanuele di 4 mesi, ora divenuto  allievo ufficiale dell’Accademia di Finanza, che ha giurato di voler tornare in terra di Sicilia per combattere, anche in memoria del padre, la mafia.Restano impresse nella memoria di tutti gli italiani le parole che Rosaria Schifani pronunciò al funerale del marito.

« Io, Rosaria Costa, vedova dell’agente Vito Schifani mio, a nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato, lo Stato…, chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso.
Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro (e non), ma certamente non cristiani, sappiate che anche per voi c’è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare…
Ma loro non cambiano…  loro non vogliono cambiare…
Vi chiediamo per la città di Palermo, Signore, che avete reso città di sangue, troppo sangue, di operare anche voi per la pace, la giustizia, la speranza e l’amore per tutti. Non c’è amore, non ce n’è amore…
 ».

Schifani è stato insignito della Medaglia d’oro al valor civile  a Roma, il 5 agosto 1992,  con la seguente motivazione:

Preposto al servizio di scorta del giudice Giovanni Falcone, assolveva il proprio compito con alto senso del dovere e serena dedizione, pur consapevole dei rischi personali connessi con la recrudescenza degli attentati contro rappresentanti dell’ordine giudiziario e delle Forze di Polizia. Barbaramente trucidato in un proditorio agguato di stampo mafioso, sacrificava la giovane vita a difesa dello Stato e delle Istituzioni.” Palermo, 23 maggio 1992.

Vito Schifani fu anche un valido atleta (specialista nei 400 metri) ed è stato a lui dedicato lo stadio delle Palme di Palermo, che dal 2007 ha assunto in suo onore il nome di Stadio Vito Schifani.  Il suo atto di eroismo è stato raccontato nel film “Vi perdono ma inginocchiatevi” scritto da Rosaria Schifani e Felice Cavallaro, regia di  Claudio Bonivento, trasmesso da LA7 il 18 maggio del 2012, in occasione della ricorrenza del ventesimo anniversario della strage di Capaci. Schifani è sepolto nel Cimitero di Santa Maria dei Rotoli a Palermo.

Grazie a lui e alcuni di questi agenti di scorta che hanno dato la vita per proteggere chi ha lottato veramente contro la mafia, capiamo l’importanza di chi ancora oggi ha il coraggio di affrontare questa battaglia.
Sofia Mammola e Vittoria Giunta

 

ROCCO DICILLO

Rocco Dicillo, nacque a Triggiano, piccolo paesino della  Puglia vicino Bari, il 13 aprile del 1962 e morì a Capaci il 23 maggio. Egli fece parte della scorta di Falcone insieme ad Antonio Montinaro e Vito Schifani. Dicillo viaggiava sul sedile posteriore della prima delle tre Fiat Croma che riaccompagnavano il magistrato, appena atterrato a Punta Raisi da Roma, a Palermo. . Nell’esplosione, avvenuta sull’Autostrada A29 all’altezza dello svincolo per Capaci, i tre agenti morirono immediatamente, dato che la loro Croma marrone fu quella investita con più violenza dalla deflagrazione, tanto da essere sbalzata in un oliveto a più di dieci metri di distanza dal manto stradale.

Onorificenze

<<Preposto al servizio di scorta del giudice Giovanni Falcone, assolveva il proprio compito con alto senso del dovere e serena dedizione, pur consapevole dei rischi personali connessi con la recrudescenza degli attentati contro rappresentanti dell’ordine giudiziario e delle Forze di Polizia. Barbaramente trucidato in un proditorio agguato di stampo mafioso, sacrificava la giovane vita a difesa dello Stato e delle Istituzioni. Palermo, 23 maggio 1992>>.

Grazie a lui e tutti coloro che pur sapendo di rischiare la morte, hanno combattuto contro un nemico che sembrava invincibile sono state aperte le porte ad una Sicilia libera dalla mafia.

Salvatore Caravello

 

ANTONIO MONTINARO

Antonio Montinaro aveva 29 anni e lasciava la moglie Tina e due figli. Tina Montinaro è una delle promotrici dell’associazione “Vittime di mafia”, e da anni gira l’Italia per parlare del sacrificio di suo marito e della necessità della lotta alla mafia. In sua memoria il Comune di Calimera ha intitolato una piazza ed eretto un piccolo monumento costituito da un masso estratto dal luogo dell’attentato e da un albero di mandarino di Sicilia.

 

 

 

 

LA STRAGE DI VIA D’AMELIO

 

Alle 16.58 del 19 luglio 1992 una Fiat 126 imbottita con 90 chili di esplosivo, telecomandata a distanza, deflagrò sotto il palazzo nel centro di Palermo, in via Mariano D’Amelio, dove il giudice Paolo Borsellino stava andando a trovare la madre. Insieme a lui furono uccisi gli agenti Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

AGOSTINO CATALANO

Il capo scorta assistente capo Agostino Catalano aveva 43 anni ed era stato sposato con Maria Pace ma era rimasto vedovo tre anni prima. La moglie era morta per un tumore, lasciandolo solo con i tre figli, Emanuele, Emilia e Rosalinda. Nel 1991 si sposò con Maria Fontana. Per far fronte alle esigenze economiche della famiglia aveva cominciato a prestare servizio come agente di scorta e solitamente era assegnato alla scorta di padre Bartolomeo Sorge. Il giorno della Strage di via d’Amelio era in ferie ma, per una tragica fatalità, era stato chiamato al fine di raggiungere un numero sufficiente per la scorta del giudice Borsellino. Appena poche settimane prima aveva salvato un bambino che stava per annegare in mare, dinanzi alla spiaggia di Mondello.

 

Samanta De Gaetano e Alberto Imbesi

 

CLAUDIO TRAINA

Claudio Traina era un agente della scorta di Borsellino morto a soli 27 anni per colpa della mafia.

Inizialmente fu  militare dell’aeronautica ma poi decise di entrare in polizia (come suo fratello Luciano, che ormai era già in pensione). Quindi Accademia di Polizia ad Alessandria, squadra volanti a Milano e poi il trasferimento, come da sua richiesta a Palermo. E’ il 1990 e Claudio decide di farsi assegnare all’ufficio scorte e viene assegnato come scorta al giudice Borsellino

Il 19 Luglio dell’anno 1992, giorno in cui morì, era iniziato come un giorno qualunque: era andato a pesca con suo fratello Luciano. Per i due fratelli era un piacere andare lì e svolgere quell’attività perché erano gli unici momenti in cui non parlavano di lavoro e si sentivano molto felici.

Alle 12 sono tornati a casa perché alle 15 Claudio era di servizio insieme al giudice Paolo Borsellino e altri poliziotti. Alle 17 il fratello maggiore si indirizzò verso casa e quando arrivo trovò la madre preoccupata: c’era stata una strage dove lavorava proprio il figlio Claudio Traina, a Palermo. Luciano cercò di tranquillizzare la madre dicendo che suo figlio non c’entrava niente quindi non poteva essere uno delle vittime. Ma lo stesso il fratello passò tutto il pomeriggio e la notte in cerca delle vittime ma tanti non gli hanno detto chi erano le persone morte perché tra questi c’era proprio Claudio e non gli volevano dare un dispiacere visto che sapevano che lui era il fratello di uno dei morti innocenti. Dopo un po’ si scoprì che tra le vittime c’erano: Paolo Borsellino, Agostino Catalano e suo fratello Claudio.

Il motivo per cui si ricorda questo poliziotto è che lui non sapeva di essere un eroe…era una persona perbene,  una persona qualunque che ha svolto coscienziosamente il suo lavoro fino alla fine della sua vita e che, purtroppo, è morto per colpa della mafia, questo terribile mostro che bisogna sconfiggere.

Chiara Palella

 

EMANUELA LOI

Nacque nella  città di Cagliari nel mese d’ottobre e nell’anno 1967(era residente a Sestu ). sin da piccola fu una bambina molto intelligente e furba; aveva  una sorella che  una volta grande partecipò ad un esame per diventare poliziotta ma quella che superò  l’ esame fu proprio la stessa Emanuela che era andata per accompagnarla; aveva appena preso il diploma magistrale. Entrata in polizia, Emanuela si rivelò una delle migliori poliziotte della scuola Allievi di Trieste e dopo due anni passati lì, venne trasferita a Palermo dove le venne affidato il compito di osservare i movimenti a casa dell’onorevole Sergio Mattarella, fece anche da scorta  ad una senatrice e inoltre spiò il boss Francesco Madonia.

Ciò che più amava, ricorderanno amici e colleghi, era muoversi con il camper della polizia, che le consentiva di stare in mezzo alla gente. Emanuela era però anche affascinata dal lavoro delle scorte, e strinse amicizia con il caposcorta del giudice Falcone, Antonio Montinaro, che  compiendo fino in fondo il proprio dovere perse la vita nell’attentato di Capaci, insieme al giudice  Giovanni Falcone e al resto della sua scorta. Dopo questo triste evento Emanuela decide di mettersi a disposizione per quel difficile servizio, anche in memoria dell’amico Antonio. Nel giugno del 1992 venne affidata alla scorta del  magistrato Paolo Borsellino. Emanuela aveva paura del nuovo incarico ricevuto ma cercava sempre di rassicurare i genitori che non le sarebbe successo niente.

Il 19 luglio del 1992, a nemmeno un mese dall’affidamento definitivo al servizio scorte, morì a 24 anni, per mano della mafia,  a seguito dell’esplosione di una 500 rossa imbottita di esplosivo, parcheggiata in via D’Amelio sotto l’abitazione della madre del giudice Borsellino.

Quella domenica il giudice Borsellino volle recarsi dalla madre per salutarla ma appena scesi dall’ auto scoppiò l’ ordigno  così potente  che il boato si sentì  in tutta la città. Emanuela stava preparando le nozze poco prima di morire per mano della mafia. Era tornata a casa, a Sestu, per un’influenza ed era rientrata il 16 luglio  nonostante la madre e il medico le avessero chiesto di trattenersi fino al 20 e questo l’avrebbe salvata dalla strage.

Fu la prima agente donna della polizia di stato a restare uccisa in servizio. Da anni sua sorella Claudia tiene vivo il suo ricordo nelle scuole e anche grazie all’Associazione Libera contro le mafie.

Ad Emanuela Loi sono state intitolate molte scuole, vie e piazze della Sardegna.

Lei, come del resto tutti gli uomini dell’ arma uccisi negli attentati, resterà per sempre nel cuore degli italiani. Sulla sua vita è stato anche realizzato un film trasmesso di recente in TV.

Filippo Garofalo, Noemi Fazio e Valeria Giorgianni

 

WALTER   EDDIE COSINA

Walter Eddie Cosina, nato in Australia, era arrivato volontariamente a Palermo qualche settimana prima della strage in cui perse la vita a soli 31 anni, subito dopo la strage di Capaci, dalla Questura di Trieste. Morì durante il trasporto in ospedale. Ha lasciato la moglie Monica.

A ventuno anni rimane orfano di padre e rinunciò al corso per far parte della polizia giudiziaria. Nel 1983 entrò nella Digos, mentre a partire dal 1990 fece parte del nucleo anti-sequestri e in seguito prese servizio presso la divisione anticrimine. Dopo la Strage di Capaci, accettò di prendere servizio a Palermo, dove il Ministero degli Interni aveva intensificato le scorte ai magistrati. Venne così assegnato a Paolo Borsellino. Il giorno della Strage di via d’Amelio Cosina non doveva prendere servizio: un collega da Trieste avrebbe dovuto dargli il cambio, ma l’agente decise di lasciarlo riposare dal lungo viaggio e di sostituirlo quella domenica nella scorta al magistrato.

VINCENZO LI MULI

Era il più giovane della pattuglia. Da tre anni nella Polizia di Stato, aveva ottenuto pochi mesi prima la nomina di agente effettivo. La sorella racconta con amarezza la consapevolezza del fratello che, in fondo, sapeva a cosa stava andando incontro: “Qualche sera prima mi chiese di ricordargli come si recitava il padre nostro”.

CLASSE V C MILITI

 

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