QUANDO AD EMIGRARE ERAVAMO NOI…
“Partire è un po’ morire, perchè nuove terre fredde ed inospitali attendono qualcuno che poco vuole ma che pochissimo ottiene”
Il triste fenomeno dell’emigrazione si sviluppò agli inizi del ‘900.
Dopo l’unità d’ Italia il primo governo italiano doveva risolvere molti problemi: “L’Italia era stata unita, ora bisognava unificare gli Italiani…” Era necessario adottare un’unica lingua ed utilizzare in tutta la penisola la stessa lingua, lo stesso sistema per misurare, uno stesso esercito ed una stessa organizzazione amministrativa.
Così si impose come moneta la lira, come lingua l’italiano, come sistema numerico il sistema metrico decimale, fu reso obbligatorio il servizio di leva per 5 anni e l’Italia venne divisa in regioni, province e comuni.
Inoltre, si cercò di far fronte alle urgenze igienico – sanitarie, furono costruiti ospedali e fognature; per comunicare vennero realizzate strade e ferrovie e le scuole furono rese obbligatorie per i primi due anni delle elementari. Però per fare tutto ciò c’era bisogno di molto denaro, così lo stato impose pesanti tasse. In particolare quella sul grano macinato gettò la gente già povera nella miseria più assoluta.
Dopo l’unità d’Italia, si rese manifesta la grande differenza tra il nord, molto industrializzato e sviluppato, ed il sud, che dopo lo sfruttamento spagnolo, era nel complesso quello più povera e sottosviluppato con un alto tasso di analfabetismo e un’agricoltura caratterizzata da grandi terreni (i latifondi) in mano a ricche famiglie borghesi in cui lavoravano con misere paghe contadini e braccianti.
Questo fenomeno diede vita alla questione sociale al nord ed alla questione meridionale al sud, da cui poi derivarono i fenomeni del brigantaggio e della mafia ed il triste fenomeno dell’emigrazione.
Soprattutto al sud, a causa della miseria, numerosissimi contadini e braccianti furono costretti a trasferirsi nelle terre lontane dell’America o nei paesi europei più ricchi.
Gli Italiani dovevano lasciare la loro terra natia ed i propri cari, con molto dolore e nostalgia, nella speranza di una vita e di un futuro migliore in una nuova terra.
Molto spesso per comprare il biglietto dovevano vendere tutto ciò che avevano, per poi essere ammassati sulle navi uno accanto all’altro come animali, dopo che avevano aspettato per notti intere nelle strade vagabondando al freddo ed al gelo, prima della partenza. Portavano con sé poca roba: un fagotto, una valigia di cartone e, magari, un pugno di terra o di grano del loro paese…
Arrivati nella nuova terra, non conoscendo la lingua, venivano emarginati e costretti ad accettare i lavori più umili ed a vivere in baracche senza luce, acqua e servizi igienici, però loro non perdevano la speranza di poter guadagnare qualcosa da mandare alle famiglie, che cosi avrebbero potuto raggiungerli, o per farsi un secondo biglietto di ritorno (anche se tale ipotesi accadeva di raro).
Tra le diverse letture e poesie mi piace ricordare, anche se con tristezza, il verso della poesia Figli del Sud: “Ulivo nodoso con tronco contorto legato alla terra qui rimarrò”, dove la protagonista si paragona alla radice dell’albero che non vuole separarsi dalla sua terra e, anche se costretta a partire, il suo cuore non lascerà mai la sua amata terra.
Molto bello anche il canto di Domenico Modugno “Amara terra mia, amara e bella…” Questo canto racchiude insieme l’amore per il proprio paese che è bello e nello stesso tempo amaro, in quanto non riesce a dare il nutrimento ai suoi figli, da qui nasce il dolore per doverlo lasciare.
Greta Coppolino
V Militi