domenica, Dicembre 22, 2024
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La sbuccio e MELA mangio: riflessioni semiserie sul frutto proibito

Non sono un fan delle mele; le mangio se capita. Da buon Siculo, preferisco le arance d’inverno e le pesche nella loro stagione, ma quel giorno la mezza mela che si fece trovare sul piatto – forse consapevole del suo destino – ebbe la capacità di fermare la mia attenzione per altri motivi.

 

No! Non sono così strano da parlare di solito alle mele, neanche quando mi è capitato di guardarne mezza con una certa intensità. Forse, però, quei semini neri chiusi nel loro involucro, tanto simili a occhietti acuti, qualche dubbio me lo fecero sorgere quel giorno. Magari erano proprio loro a volermi parlare.

La mente è un luogo strano: spesso ci perdiamo tra i pensieri nei momenti meno adatti. Più che parlare alla mezza mela, mi ritrovai a pensare a quale parte avesse avuto questo frutto nell’immaginario della gente, da tempi immemorabili. Più di quanto mi fossi mai reso conto fino a quel momento. Sono quei pensieri che messi tutti insieme ti appaiono come i vestiti lasciati ad asciugare su un filo: non finiscono mai. Il filo, perciò, si allunga ogni volta di più, perché un pensiero tira l’altro, come fanno le ciliegie e volendo, in questo caso, anche le mele.

La mela è il frutto proibito. Punto. Quello di Adamo ed Eva per esempio: la storia truce di lei che nasce dalla costola di lui; poi c’è pure il serpente parlante, terzo incomodo, a completare il terzetto che ci ha inguaiato. Non credo di aver mai saputo il colore della mela di Eva. Quella di Biancaneve, però, era senza dubbio rossa-rossa. Così, almeno, ce la fa vedere Walt Disney nel suo lungometraggio e così me-la ricordo, poiché non lessi mai la storia sui libri e, a parte il cartone animato, la appresi, come la maggior parte di noi, solo dal racconto sempre mutevole della mia mamma.

Anche questa storia dei noiosi nani stakanovisti e della ragazzotta abbandonata, della vecchia terribile e della mela rossa che muori se la mangi, è molto truce. Verrà da lì la mia antipatia per le mele? Forse per le rosse! Neanche quella verde la mangio, però mi piace nei dipinti di Magritte: grande quanto una stanza, al centro del viso, sotto il cappello a bombetta, la mela di Magritte è un mito dei tempi moderni. Tanto di cappello! Ops, volevo dire tanto di bombetta.

Rispetto a Magritte, l’Arcimboldo, piuttosto, è un dilettante. Il primo, con una sola mela, realizzò tantissimi quadri; l’altro dovette dipingere tutto il frutteto per farne appena uno ogni volta. Molta spesa, poca resa. Steve Jobs, invece, con gli scarti ci ha fatto un impero. La mela di Apple – già morsicata di suo che se la vedi nel piatto la schifi pure – è uno dei logo più riconoscibili al mondo.

Sarà la stessa mela bacata di Fantozzi? Quella che il buon ragioniere – in Fantozzi contro tutti – acquista alla mostruosa cifra di cinquantamila lire, insieme a una forchettina di plastica, un coltellino di plastica, uno stuzzicadenti di plastica, un’ala di pollo di plastica? Dati i costi dell’Iphone, potrebbe anche essere lei.

Nel primo logo di Apple appariva Newton sotto l’albero e una mela che cadeva. Eccoci; l’ho presa larga ma non potevo ignorarla. Un’altra mela decisiva per l’umanità! Sono perplesso, però: dobbiamo ringraziare anche Isaac o soltanto la mela? Non c’è dubbio che la mela di Newton sia la migliore pubblicità alle facoltà di Fisica. Chissà quanti si saranno iscritti a Fisica solo perché amano le mele!

Ricordo pure che Apple Records fu un’etichetta musicale, la casa discografica fondata dai Beatles per incidere i dischi in proprio. Bravi, avevano già capito tutto! The Apple è anche un film musicale, così almeno mi dice la Rete (non chiedetemi altro; ho copincollato spudoratamente!) e, per continuare nell’originalità, è addirittura il titolo di una canzone di Eminem (come sopra; copincollo alla grande). Insomma, non c’è male! Questa mela è davvero una bella invenzione, valida per tutte le stagioni.

Altro giro, altra storiaccia: la mela di Guglielmo Tell. L’hanno raccontata a modo loro, ma a me la vicenda non pare credibile. Insomma, benedetto svizzero! Altri svizzeri ti cedono un’arma per colpire una mela sulla testa di tuo figlio e non ti chiedono neanche dei soldi? Ok, opinione politically scorrect, lo ammetto.

Rimedio con qualche copincollata letteraria, che fa tanto intellettuale. Scherzo, qualcuna la so.

Dai, chi non conosce la storia del Pomo della Discordia, tutto d’oro con sopra la scritta “alla più bella”? Fu capace di portare Atena, Era e Afrodite a un’educata controversia fra donne, sfociata purtroppo in tragedia troiana per la solita incapacità maschile di gestire le situazioni difficili; non certo di Zeus però, più bravo dell’ape a passare indenne di fiore in fiore. Un vero dio.

Lì, indubbiamente, la responsabilità fu di Paride, incapace di resistere, come tutti gli uomini, al richiamo della femmina. Fu così, perciò che per un pomo d’oro (da piccolo pensavo, ovviamente, che fosse stato per un “pomodoro tuttattaccato” e non capivo) che da studenti delle superiori ci beccammo l’Iliade, il sequel con l’Odissea e pure lo spin off dell’Eneide. Insomma, il banco vinceva a mani basse.

Sorvolo sul Giardino delle Esperidi (quello dei pomi d’oro) perché la storia di Atlante che vuole fregare Eracle mollandogli il mondo per farsi poi (ri) gabbare come un rimbambito dall’omone tutto chiacchiere e muscolatura, non la reggo proprio! Troppo triste. Avete ancora qualche giga? Leggetevela da soli in Rete.

Sorvolo ancor di più sulla vicenda delle tre mele d’oro di Ippomene e Atalanta (quella del mito greco, non la squadra di calcio di Bergamo), non perché non sia importante – anzi dovrebbero leggerla tutte le donne per non farsi fregare dai maschietti – ma perché capireste subito che il fatto me-la ha raccontato Wikipedia.

Sulla ragazza mela di Calvino, invece, qualche parola si deve spendere! La mini principessa che non mangia e non parla, vive dentro una mela e ogni giorno esce solo per lavarsi e pettinarsi, aspettando che qualcuno sfati l’incantesimo di cui è vittima, è di una tenerezza struggente. E questa volta sono serio!

La ragazza che diventa donna, invece, mi fa pensare al film Il tempo delle mele. Piacque anche ai maschi all’epoca; è inutile che neghiate! Vi ho visto; c’ero anch’io. Quel titolo però era per la versione italiana. Nel mondo fu per tutti La Boum (Il Boom o La Festa, se Google Translator non mi frega) oppure Reality (Realtà) nella versione anglosassone, dal titolo della canzone portante del film. C’erano i lenti alle feste, ai tempi. L’avete ballata tutti, odierni maschi calvi o canuti che leggete. E faceste pure ciò che dovevate. Anch’io.

Al tempo delle mele cosa vuoi fare, se non cogliere il frutto proibito? Cogli la prima mela, canzone poco pretenziosa ma orecchiabile di Angelo Branduardi, sempre in quegli anni indicò la via maestra. Ciò che non compresi mai, fu però la “doppia a” finale sul cantato di mela. Due casi: mancava una sillaba al testo per collegarla bene alla musica? Esprimeva una certa sofferenza nella raccolta? Boh! Misteri d’artista.

Rimanendo in musica, ricordiamo Lucio Battisti che, attraverso il testo di Mogol, si chiedeva Perché non sei una mela? Evocando la semplicità della mela bella liscia senza spine luccicante […] rotondamente logica, affascinante, ovviamente si rivolgeva alla donna, che troppo spesso si propone invece come un orologio dal meccanismo sofisticato, complicato, incomprensibile (non lo dico io, prendetevela con Mogol!).

La mela è semplicità, inutile negarlo. Persino Vasco Rossi se ne accorse ai tempi di Albachiara, dove a parte il travolgente finale di canzone, per il resto la protagonista, anima semplice e pura, cammina per strada mangiando una mela coi libri di scuola. E vivaddio che le piace studiare senza doversene vergognare.

Ho finito. Resta ancora qualche frase proverbiale, tipo la mela non cade mai lontano dall’albero o la solfa del medico tolto di torno da una mela al giorno; poi la mela marcia che rovina tutto il cesto, il sogno vago della mezza mela e, per finire, la Grande Mela newyorkese, il luogo dei luoghi o, se volete, il logo dei loghi.

 

Intanto la mela che ho lasciato sul piatto è diventata nera. Mangerò un’arancia. L’ho sempre preferita.

 

Francesco Galletta

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