domenica, Dicembre 22, 2024
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Giovani bamboccioni o disillusi?

Nella società odierna si tende sempre più a considerare i giovani come individui spesso frivoli e leggeri, poco preoccupati per il proprio futuro ed interessati solo ad apparire e a divertirsi, sostanzialmente incapaci di uscire dal guscio familiare per inerzia e comodità.

Questa considerazione trova alimento in molti studi che hanno per oggetto l’universo giovanile. Secondo A. Giddens ne L’Europa nell’età globale, Laterza, Bari 2007, più dell’ottanta per cento dei giovani tra i diciotto e i trent’anni vive con i genitori. Si tratta di un dato davvero allarmante di cui, però, bisogna analizzarne i motivi.

Sostanzialmente le ragioni sono due: la paura di allontanarsi da una “bolla familiare” in cui il ragazzo si sente protetto e sicuro e la mancanza di una certezza economica.

Essere giovani in Italia, soprattutto al Sud, non è facile: si è “schiavi” di una società che non funziona, che critica senza proporre ed attuare soluzioni, servi di un paese che non da’ spazio allo sviluppo e alla crescita dei talenti.

Per questo, nell’ultimo decennio, si assiste al fenomeno della “fuga di cervelli”. Molti sono i ragazzi che non ci stanno e che decidono così di prendere le valigie, di tagliere le radici con il proprio paese, per sognare un futuro lavorativo altrove, spesso all’estero.

Coloro che non possiedono, invece, questo coraggio continuano a vivere protetti nella casa di famiglia, mantenuti dallo stipendio dei genitori, rassicurati dalle certezze del presente, ma con prospettive minime o nulle per il futuro.

“A parziale giustificazione di questa tendenza di massa a restare nella famiglia d’origine è che il futuro ha cambiato segno e da ‘futuro promessa’ è diventato ‘futuro minaccia” (U. Galimberti, Bamboccioni. Quei giovani che vivono nella bolla famigliare, “La Repubblica”, 9 ottobre 2007). Tuttavia, è troppo semplice criticarli. Sarebbe, invece, più giusto fermarsi a riflettere e pensare che per i giovani d’oggi è troppo utopistico abbandonare le proprie certezze, lasciare il porto sicuro in cui si è sempre vissuti, per offrirsi alla precarietà, all’incertezza e all’insicurezza.

Viviamo in una società che ha progressivamente spento l’entusiasmo e il coraggio caratteristici dell’età giovanile, uccidendo, insieme ad essi, non solo il futuro dei giovani, ma anche quello di un’intera nazione.

I giovani sono poco ascoltati dagli adulti, mossi come pedine per i loro scopi e spesso screditati. Non si sente quasi mai parlare di esempi di ragazzi che “valgono”, ma solo di “bamboccioni”, che vivono per comodità sulle spalle delle loro famiglie.

È inutile negare che esistono giovani con poca propensione a imparare, a migliorarsi, a combattere, come è sempre accaduto nella storia dell’umanità. Tuttavia, si tratta di una piccola percentuale rispetto a quella di coloro che hanno voglia di fare, crescere e migliorare.

Per ridare dignità e voglia di sperare ai futuri adulti basterebbe metterli al centro di progetti politici, che non mirino solo a salvaguardare le posizioni lavorative ed economiche dei cinquantenni o dei pensionati, ma che tornino a credere nelle giovani generazioni, rendendole protagoniste di idee e azioni condivise. Questa potrebbe essere la scintilla per accendere il fuoco del coraggio, dell’entusiasmo, della voglia di credere in qualcosa. Bisognerebbe dare fiducia ai giovani e, attraverso anche la possibilità di commettere errori e magari di fallire, permettere loro di fare esperienza per diventare uomini capaci di guidare la nostra nazione verso la rinascita sociale, economica, politica e culturale.

Antonio Saporita

IVACR

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