La gastronomia dello “Stupor Mundi”
Un’attesa infinita, quella settimanale, durante la quale si aspetta l’incomparabile pranzo della domenica a casa della nonna; sempre la stessa storia, tavole imbandite, nipoti affamati ed esigenti, differenti bisogni di nutrizione, tanti, forse troppi piatti per soddisfare le richieste di tutti. Pazienza, impegno e mani di fata, quelle di colei che fa apprezzare a tutti la propria cucina.
Ma ci siamo mai chiesti quale sia il segreto di questa gastronomia così eccellente? Oltre all’amore, all’esperienza e all’abitudine si cela qualcos’altro?
Le nostre care nonne tramandano da anni le basi della cucina italiana contenute nel celebre “Liber de coquina” e oggi, a distanza di anni, questo ricettario viene riconosciuto all’insaziabile cultura e alla passione squisitamente personale dell’Imperatore Federico II di Svevia. L’enciclopedico genio, fondatore nella sua corte della Scuola poetica siciliana, si rivela non solo promotore della letteratura e amante della falconeria, ma oltretutto maestro della cucina, ennesimo tassello per affermare la grandezza di quest’uomo, da aggiungere al mosaico che lo rende uno dei personaggi più influenti ed iconici del Medioevo.
Questa stupefacente scoperta si deve alla germanista, docente all’Ateneo barese, Anna Martellotti che, dopo aver affrontato un flashback storico di circa mille anni, ha affermato la diretta correlazione tra il Liber de coquina ed il manoscritto inedito conservato nella Biblioteca Vaticana; dimostrando a seguito di uno scrupoloso confronto che il primo si propone come una sorta di stesura antecedente che porta alla redazione del secondo manoscritto. Un’opera di genesi grazie alla quale è scaturita l’attribuzione di questo testo di ingente rilevanza alla persona di Federico II che, sovrapponendo le culture e arricchendosi degli influssi arabi, normanni e svevi nonché della suggestione internazionale, è riuscito a dar vita a piatti dall’elevata raffinatezza e a costituire i pilastri della gastronomia italiana odierna.
In tal modo abbiamo l’opportunità di analizzare con una prospettiva nuova la corte di Federico, all’interno della quale alle tematiche ricorrenti dell’amor cortese si affianca un’arte spesso sottovalutata, che tutt’oggi non si pone alla portata di tutti e che senz’altro esige di un palato che sappia riconoscere gli ingredienti che meglio si sposano tra loro.
Federico II seppe intravedere il patrimonio culinario delle regioni meridionali, sfruttare al meglio i prodotti offerti dalla terra: il grano pugliese era per l’appunto indispensabile nella lista della spesa dell’imperatore per sfornare paste alimentari di ogni genere, gnocchetti, lasagne, ravioli e persino panzerotti ripieni, frutto della creatività di un governatore dai gusti fantasiosi. Anche le verdure, gli agrumi e le mandorle erano privilegiati; caro alla cucina pugliese è il purè di fave e altrettanto noti, contenuti in un ricettario veneziano, sono i “cavoli verdi secondo l’uso dell’Imperatore” e le ”frittelle da Imperatore magnifici”; anche il dolce era ben gradito dal nostro chef, in particolare le due “torte di Re Manfredi”.
Si costituisce così un ritratto affascinante dell’imperatore, amato da siciliani e pugliesi, che ha saputo gettare le basi della tradizione italiana, mettendo da parte il narcisismo che spesso caratterizza le figure prestigiose e lasciando spazio alle vesti di buongustaio, e che è riuscito a tramandare le sue idee, stabilendo un confine tra la generica ingordigia e l’erudita capacità della degustazione.
Sofisticata è inoltre la suddivisione che si propone nel libro: verdure carne, pesce, uova e cibi composti, instituendo le sue accortezze anche facendo riferimento alla dietistica, preoccupandosi della salute e rivalutando quelle che sono le esigenze culinarie senza mai cadere negli eccessi. A fianco della poesia cortese, nacque una sontuosa cucina a cui noi attualmente siamo soggetti e che veniva utilizzata anche da coloro che ci hanno preceduto, soprattutto in questo particolare e affascinante periodo storico.
Le regole e le convenzioni ritratte nel manuale intravedono come protagoniste le ricette più arcaiche e locali dell’Italia Meridionale che, purtroppo, oggi sono state accantonate per far spazio alla gastronomia prestigiosa del nuovo millennio ma che continuano a vivere nei ricordi e nelle tradizioni popolari.
A noi spetta il compito di preservare e valorizzare la preziosa identità culturale che per anni ha caratterizzato la vita nei nostri territori.
E oggi, un po’ più consapevoli delle nostre origini e coscienziosi, potremo affermare che le nostre nonne, senza saperlo, si ispirano alla cucina di Federico II di Svevia e che senz’altro abbinano alle loro capacità date dall’esperienza e dalla padronanza con cui maneggiano pentole e fornelli, le sperimentazioni culinarie che l’imperatore aveva introdotto sul campo italiano.
Dalila Cuppari IIIC BS