STORIA DI UN EROE
Nell’ambito del progetto legalità, giorno 22 novembre 2017, presso il Teatro del Palacultura di Messina, noi alunni delle seconde e delle terze classi della scuola IC Boer-Verona Trento, abbiamo preso parte allo spettacolo “23 maggio 1992”, messo in scena dalla compagnia “Centro Studi Artistici” diretta dal regista Carmelo Cannavò.
La “pièce” teatrale, tratta del libro di Luigi Garlando “Per questo mi chiamo Giovanni”, (di cui noi in classe con la prof. G. Pancaldo avevamo già letto le pagine più significative) è nata con l’intento di far conoscere ad un pubblico giovane la figura di un eroe: il magistrato Giovanni Falcone.
Lo spettacolo prende avvio da un atto di ingiustizia consumato a scuola durante la ricreazione: un ragazzo di nome Tonio vessa i compagni, pretendendo da loro dei soldi, e reagendo al loro rifiuto con atteggiamenti e comportamenti a dir poco scorretti; contro di loro infatti si scaglia fisicamente e li umilia. Ne è prova quando lega i lacci delle scarpe ad un compagno di scuola e lo fa cadere per le scale dopo averlo strattonato.
Tuttavia il vero protagonista ed eroe positivo della storia è un ragazzino buono di nome (non a caso) Giovanni, (proprio come Giovanni Falcone), che si presenta in scena con un pupazzo regalatogli dal padre quando lui era piccolo. È proprio sulla storia di questo pupazzo a cui il ragazzino è molto legato, che si muove lo spettacolo.
Un giorno il padre decide di raccontare al proprio figlio la storia del pupazzo di nome Boom, unico superstite tra tutti i giochi, salvatosi dopo che la mafia fece esplodere il negozio del padre, il quale dopo diverse vessazioni si era opposto al pagamento del pizzo.
Con una serie di “flashback” e rievocazioni del passato, Giovanni viene così proiettato fin dall’ inizio degli avvenimenti accaduti nel luogo natio del magistrato, ovvero il quartiere della Kalsa, dove adesso si trova una lapide in suo ricordo.
Attraverso un excursus dettagliato e particolareggiato il padre informa il figlio che Giovanni Falcone, fin da piccolo, aveva dimostrato una passione verso i corpi militari interessandosi su come affrontare e combattere la mafia.
All’età di tredici anni, durante una partita di calcio tra amici, conobbe Paolo Borsellino con cui si sarebbe ritrovato sui banchi di magistratura.
Nel 1957 si trasferì a Livorno per frequentare l’Accademia Navale, ma ritornò a Palermo un anno dopo.
Dopo aver ricordato alcuni aspetti salienti della vita del magistrato, il padre con appassionato fervore inizia a parlare della mafia definendola con una frase toccante e allo stesso tempo pietosa: “la mafia è un mostro travestito che cresce come un carciofo”.
Segue una scena drammatica e significativa nella quale Giovanni e il padre si trovano all’interno di un bar ed assistono ad un evento che li lascia senza parole: un uomo ben vestito, entrato all’interno del locale, dà una pacca sulla spalla di un cameriere e questi, senza opporre resistenza, è immediatamente ed inesorabilmente obbligato a pagare il pizzo.
Il viaggio continua verso Capaci, comune del Palermitano diventato tristemente noto perché è lo svincolo dell’autostrada della strage del 23 maggio 1992. Giovanni Falcone viene barbaramente ucciso da Cosa Nostra insieme alla moglie e alla sua scorta a seguito di un’esplosione di una tonnellata di tritolo posta sotto l’autostrada. In questa maniera i capi di Cosa Nostra volevano dare una lezione esemplare a Giovanni Falcone perché un paio di anni prima il magistrato aveva ordinato ed eseguito l’arresto di ben 475 mafiosi comminando pesanti condanne per un totale di 19 ergastoli e 2665 anni di reclusione.
Sulla scorta di questi avvenimenti il padre rammenta in modo chiaro ed inequivocabile al figlio che ogni volta che si versa il pizzo ai mafiosi o si cede alle loro richieste, si rinnova ancora una volta l’assassinio di Giovanni Falcone perché è proprio con la complicità di chi si piega che la mafia continua a commettere atti illeciti, perpetuando così la strage di Capaci.
Il piccolo Giovanni si rende conto con queste parole che era arrivato anche per lui il momento di reagire e di far trionfare la giustizia.
Così il giorno seguente, al suono della campanella della ricreazione, Giovanni si fa forza e decide di non dare più soldi a Tonio, che con la stessa prepotenza di sempre, aveva cercato di legargli insieme i lacci delle scarpe; Giovanni questa volta non glielo permise perché ……. calzava dei mocassini! In questo modo Tonio viene scoperto dall’insegnante e adeguatamente punito.
Il padre, commosso, conclude lo spettacolo ricordando al figlio che, pur essendo stata tragicamente ed ingiustamente stroncata la vita di un eroe della giustizia e della legalità, non è stato cancellato il ricordo e la sua opera giusta e coraggiosa poiché Giovanni Falcone vive ancora con i suoi ideali e suoi valori, rappresentando un modello di dedizione, integrità morale, grande intelligenza ed estremo rigore nel condurre la lotta contro la mafia
Come ha affermato il regista Cannavò, in una sua nota conclusiva, lo spettacolo ha lo scopo di suscitare la consapevolezza che “gli esempi positivi possono dare forza ai valori essenziali della vita e possono mostrare come sia possibile raggiungere la via del riscatto sociale contro le mafie e l’ illegalità”.
E in questo noi ci crediamo!!!!
Antonio Viscuso
3G Scuola media -Verona Trento Messina