martedì, Novembre 5, 2024
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SONO DONNA E DICO BASTA…

25 novembre: dal 1999 l’Assemblea generale dell’ONU ha fissato questa data come “Giornata internazionale contro la violenza sulle donne”

 

[aesop_quote type=”block” background=”#282828″ text=”#ffffff” height=”400″ align=”center” size=”1″ quote=”“State molto attenti a far piangere una donna, che poi Dio conta le sue lacrime! La donna è uscita dalla costola dell’uomo, non dai piedi perché dovesse essere pestata, non dalla testa per essere superiore, ma dal fianco per essere uguale…, un po’ più in basso del braccio per essere protetta, e dal lato del cuore per essere amata”.

” cite=” Talmud, testo sacro dell’Ebraismo” parallax=”off” direction=”left” revealfx=”off”]

La donna sin dall’antichità è stata vista come un essere inferiore rispetto all’uomo.

La sua discriminazione è una realtà presente in quasi tutti i paesi del mondo. Ha forme diverse, in alcune zone è un po’ subdola, in altre è palese e violenta. La donna lotta per avere gli stessi diritti, per avere accesso a un’educazione e poter ricoprire ruoli importanti a livello sociale. Le donne spesso sono trattate come merce, sono di proprietà del marito, costrette in alcune realtà a sposarsi da bambine e non certo per amore. In Italia durante la prima guerra mondiale le donne sono state protagoniste della propria vita, in questo periodo sono state chiamate a ricoprire i posti lasciati vuoti dagli uomini al fronte. Tuttavia, terminato il momento del bisogno, alla fine del conflitto, sono tornate tra le mura domestiche alla cura della casa e della famiglia. Durante il fascismo tornarono ad essere considerate unicamente nel ruolo di mogli e madri; lo Stato ostacolava tutte le attività che le allontanavano dal progetto di sposarsi giovani e mettere al mondo tanti figli. Solo con la seconda guerra mondiale il ruolo della donna e il suo lavoro viene preso nuovamente in considerazione e i movimenti femministi cominciarono ad ottenere risultati concreti.  La donna doveva quindi vivere passivamente all’interno di una società che non le dava l’opportunità di emergere come individuo, ma che la confinava a ruoli prestabiliti.

Inoltre, se la donna decideva di lasciare la casa del padre o del marito, la sua fuga non era vista positivamente né dalla famiglia né dal resto della società, poiché si riteneva che una donna non potesse procurarsi da vivere svolgendo un onesto lavoro.

Tuttavia, nel corso della storia ci sono stati alcuni movimenti popolari per l’emancipazione della donna nella società, il più importante dei quali fu il movimento delle suffragette.

Fino dal secolo scorso, infatti, la democrazia non era a suffragio universale, ma soltanto gli uomini avevano diritto di voto; le suffragette, che possono essere considerate le prime femministe della storia, perseverando nel loro intento, riuscirono infine  a  ottenere, in alcuni stati prima di altri, il diritto di voto.

Nonostante sia stato raggiunto questo importante traguardo, assieme a molti altri, al giorno d’oggi la figura della donna subisce ancora discriminazioni anche nei paesi più sviluppati.

Secondo alcune recenti statistiche italiane, al Centro-Nord lavora una donna su due, mentre al Sud solo una su tre. Questo fattore determina una minore crescita per l’economia del Paese perché una lavoratrice comporterebbe una maggiore ricchezza per la sua famiglia, e quindi per l’Italia.

Inoltre spesso alle donne non è permesso di raggiungere i vertici delle aziende nonostante siano brillanti nel loro lavoro, e se riescono a farlo hanno sempre uno stipendio inferiore rispetto a quello di un collega maschio di pari livello.

In Italia conciliare figli e lavoro è difficile perché sono pochi i bambini che hanno un posto negli asili nido, quindi è sempre necessaria una figura esterna per tutti coloro che non hanno la scuola a tempo pieno.

Le donne lavorano instancabilmente per conciliare con un’organizzazione ferrea tutti i loro impegni. Gli uomini spesso si limitano a svolgere la propria attività lavorativa, a causa di una mentalità ancora radicata, soprattutto in Italia, secondo cui il lavoro domestico è un dovere delle donne.

In alcuni paesi le discriminazioni nei confronti delle figlie femmine si verificano spesso ancora prima della nascita.

In molti paesi poveri è preferibile avere figli maschi e la nascita di una bambina viene accolta come una disgrazia e ancora oggi alcuni per non avere figlie femmine ricorrono all’aborto. La donna viene considerata un peso, poiché è dato per scontato che non potrà mai essere indipendente; essa lascia la famiglia d’origine solo sposandosi. In Iran, Iraq, Marocco, Siria e Giordania le donne non possono sposarsi con uomini che non siano musulmani, mentre gli uomini sono più liberi. In molte società, la donna si trova in una condizione di inferiorità, che spesso è stabilita dalla legge.

In molti paesi Arabi la poligamia è ancora ammessa; in Arabia Saudita la donna non può viaggiare senza il permesso scritto di un parente maschio; qui alle donne non è mai stato concesso di guidare e non solo, questo a causa della cultura di appartenenza il “wahabismo”.

Il “wahabismo” è un’interpretazione rigida del Corano nell’Islam sunnita che viola i diritti delle donne. Queste ultime per gli sceicchi più estremisti non possono guidare per le seguenti ragioni:

  • Le donne devono preservare il proprio onore e la propria dignità;
  • Le donne possono spostarsi solo accompagnate da un tutore di sesso maschile altrimenti rischiano di essere stuprate;
  • I poliziotti sauditi non possono interagire con le donne e non sanno relazionarsi con esse;
  • La guida può danneggiare il corpo femminile;
  • Le donne saudite devono occuparsi in primo luogo degli impegni familiari, che verrebbero messi in secondo piano dalla guida.

Questo divieto di guida per le donne era visto dalle organizzazioni per i diritti umani come un’oppressione per la donna dell’Arabia Saudita.

Nei diversi quotidiani il 28 settembre 2017 ci viene posta all’attenzione la storia di Manal Al Sharif, una giovane donna dell’Arabia Saudita costretta ad andarsene dal proprio paese lasciando il suo bambino nelle mani dell’ ex marito che ha la custodia.

Manal oggi vive in Australia. La sua storia è molto triste, ma, al tempo stesso, carica di speranze, poiché racconta che nel 2011 appena separata dal marito, all’età di 32 anni, in compagnia di un’amica che la filmava con il cellulare, trasmettendo su internet le immagini, si mise alla guida della sua auto per le strade di Damman, città orientale dell’Arabia Saudita. In poche ore grazie a questo gesto, lei divenne famosa sul web, poiché appunto era vietato guidare alle donne, che secondo lo sceicco Soad Al Hasy, presidente del consiglio della Fatwa della provincia di Asir nel Sud del paese, le donne hanno un quarto di cervello rispetto all’uomo.

Lei aveva sfidato la loro cultura e le loro leggi, così decise di riprovarci, ma venne immediatamente arrestata; rimase in isolamento otto giorni e uscì solo dopo che firmò un foglio dove s’impegnava a non guidare più, a non comunicare con la stampa e a non sfidarli più.

Ma il peggio doveva ancora arrivare, perché perse il lavoro, fu insultata e minacciata insieme alla sua famiglia, tanto che nel giro di poco, giusto qualche mese, fu costretta ad andarsene.

Il suo arresto ha portato la “Saudiwomendrive”, la campagna che lotta contro la monarchia Saudita, a lottare incessantemente da sei anni; finalmente a settembre 2017 sono riusciti nel loro intento.

Manal è felicissima nell’apprendere questa notizia poiché ripagata per le tante lotte. Per lei, per tutte le donne del suo paese e per chi non c’è più, come le 47 donne che il 6 novembre del 1990 persero la vita per guidare nelle strade di Riad. Realmente sembrerebbe che la monarchia volesse finalmente cambiare ed emanciparsi come gli altri paesi. Ne è la conferma che il principe ereditario Mohamed Bin Salman, attualmente al potere, è molto popolare, e proprio il 26 settembre 2017 ha annunciato che le donne potranno guidare; già si è fissata la data per il primo rilascio delle patenti: il 30 giugno 2018. Tra qualche mese, infatti, la Shura, cioè l’organo consultivo dei reali, discuterà la proposta di concedere alle donne sopra i 40 anni, la possibilità di ottenere la patente, ad alcune condizioni: che il tutore (padre, marito, fratello, ecc..) sia favorevole per iscritto; che la donna sia vestita in modo adeguato e che la guida sia limitata solo nei centri urbani.

Il Re Salman, salito al trono nel 2015, ha attuato varie riforme a favore delle donne, come il diritto al voto e di essere elette; ha anche concesso loro di andare allo stadio per la festività dell’ottantesimo anniversario della fondazione del regno, e qualche mese fa ha concesso l’accesso ai servizi governativi senza il consenso del coniuge o del tutore. Le restrizioni sono ancora tante sulla libertà di movimento, ma questi sono stati cambiamenti molto importanti.

Il Re Saudita ha tenuto conto delle conseguenze negative che ci sarebbero state se il divieto fosse durato ancora a lungo. Ha poi tenuto conto degli aspetti positivi sia nell’ambito economico, che sociale e delle proteste e petizioni lanciate dalle donne saudite come Manal.

In molti paesi è considerato preferibile che le donne escano di casa il meno possibile.

Nei paesi musulmani le donne non possono vestirsi come desiderano, ma sono tenute a nascondere il corpo e il viso, come nello Yemen o in Afghanistan. Una donna che si veste liberamente rischia di essere imprigionata e percossa.

In Sudan, il codice penale del governo militare prevede una punizione di 40 frustate per le donne che si vestono in modo contrario alla pubblica decenza.

La lotta per i diritti delle donne è cominciata moltissimi secoli fa, quando le donne hanno preso coscienza di non essere solamente degli oggetti, solamente delle mogli o delle madri, ma anche delle persone con determinati doveri e determinati diritti. Il femminismo è la lotta per i diritti delle donne e continua ancora oggi: in molti paesi del mondo questi sono negati, ma se si pensa ai casi di femminicidio e di violenza sulle donne in Italia, anche nel nostro paese non abbiamo ancora ottenuto i risultati sperati. Ma tante altre sono state le battaglie per i diritti delle donne: in Italia, ad esempio abbiamo avuto la battaglia per rendere legale il divorzio e anche per l’aborto.

La giornata mondiale contro la violenza sulle donne, istituita dall’Onu nel 1999, ricorre ogni anno il 25 novembre. Purtroppo però ad oggi solo in  Italia, dall’inizio dell’anno, quasi 100 sono le donne uccise dai loro mariti, compagni o ex o più in generale dagli uomini, e per questo motivo è bene impegnarsi ogni giorno dell’anno a combattere questa piaga, che affonda le sue radici nella profonda disuguaglianza dei rapporti tra uomini e donne.

La data scelta dalle Nazioni Unite per le Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne non cade a caso: ricorda infatti un brutale femminicidio avvenuto nel 1960. Quel giorno tre delle quattro sorelle Mirabal, ispiratrici del movimento democratico 14 giugno in Repubblica Dominicana, furono fatte brutalmente torturare e uccidere dal dittatore Rafael Leònidas Trujillo. Questo omicidio ebbe pesanti ripercussioni sull’opinione pubblica del Paese.

Le scarpe rosse sono il simbolo di questa importante ricorrenza.

La prima a utilizzarle fu l’artista messicana Elina Chauvet, che nel 2009 ideò l’installazione Zapatos Rojos: una marcia silenziosa fatta di tantissime scarpe rosse in ricordo delle donne che non ci sono più.

Secondo le recenti statistiche dell’Onu, il 35% delle donne nel mondo ha subito una violenza fisica o sessuale, dal partner o da un’altra persona, e per quanto riguarda l’Italia, secondo i dati Istat di giugno 2015, 6 milioni 788 mila donne hanno subito nel corso della propria vita una violenza fisica o sessuale.

In Italia, per aiutare le donne che hanno subìto violenza e i loro figli, esistono infoline telefoniche e numerosi Centri Antiviolenza. Esistono inoltre, numerose associazioni come Doppia Difesa ideata da Michelle Hunziker e dall’avvocatessa Giulia Bongiorno, Telefono Donna, Telefono Rosa ecc.

I centri antiviolenza sono fondamentali, certo, ma moltissime donne non ne conoscono neppure l’esistenza. Dentro certe povertà internet, l’informazione di rete, non arriva.

Questi non sono luoghi comuni, ma è un mondo che abbiamo trovato in eredità noi giovani, e per poter dire basta dobbiamo ancora lottare.

Realizzato da:

Alessia T., Federica, Aurora, Alessia I.

  III B “Scuola Media B. Genovese”

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