Il lato oscuro della moda
Conquistare un’immagine di sé che sia sempre in linea con le tendenze del momento, con ciò che ci mostrano le copertine delle riviste di moda, può essere estremamente dispendioso, e in quelli che vengono definiti tempi di “crisi” occorre percorrere strade più “democratiche” per poter vantare un guardaroba ben fornito e sempre nuovo, a costi irrisori.
Ormai costume diffuso è dunque l’acquisto di capi d’abbigliamento low cost che sappiano riprodurre forme, linee e colori dell’alta moda, a prezzi però accessibili a tutti. Ciò ha avuto conseguenze importanti sull’industria tessile, che, negli anni, si è trasformata nella realtà produttiva più inquinante dopo quella del petrolio. Il motivo viene più volte associato alle rinnovate esigenze nel campo della moda e dello shopping e a quello che è stato definito il fast fashion.
Ma cosa riguarda esattamente questo cosiddetto fast fashion? Se digitiamo le due parole in un motore di ricerca ci verrà definito come un settore dell’industria tessile che produce linee ispirate all’alta moda ma messe in vendita a prezzi molto contenuti.
Il concetto di fast fashion ha fatto molto discutere: più persone hanno fatto notare quanto sia indispensabile trovare il proprio stile in maniera autonoma dalle mode e imparare a vestire in maniera sostenibile, tramite canali molto semplici come l’acquisto dell’usato o dello scambio. In compenso si avrà un impatto ambientale minore e un notevole risparmio nelle tasche degli acquirenti.
Il “vestire etico” invece richiede di solito un costo maggiore in quanto vengono utilizzati materiali ecosostenibili e chi produce l’indumento è titolare di diritti riservati ai lavoratori, contrariamente da chi contribuisce al fast fashion. Chi produce ‘moda veloce’ lavora grande parte delle volte in paesi del Sud-Est asiatico, territori in cui la mano d’opera ha un costo quasi nullo e i diritti riservati ai lavoratori sono pressoché inesistenti.
Si ricorda il crollo del Rana Plaza in Bangladesh, che ha coinvolto più di 1000 morti e 2000 feriti, venendo definito come il più letale cedimento strutturale nella storia moderna. I lavoratori segnalarono alcune crepe nell’edificio ma il loro avviso, seppur inoltrato più volte, venne del tutto ignorato. Furono costretti a tornare comunque in fabbrica nei giorni seguenti, per poi ritrovarsi travolti dal crollo della struttura. La fabbrica produceva capi per Zara, H&M e altre catene più piccole.
La soluzione al problema esiste: acquistare etico, usato o scambiare capi d’abbigliamento contribuisce a un ambiente più pulito, a scoprire il proprio stile e soprattutto, a garantire un tenore di vita migliore ai lavoratori dei paesi meno fortunati.
Martina Furnari 2ABS