DIALOGANDO CON NINNI BRUSCHETTA
Antonino Bruschetta, detto ”Ninni”, è tra i più famosi artisti italiani. Eclettico e appassionato, sa cimentarsi in ruoli e piani professionali diversissimi: è regista teatrale, attore, sceneggiatore e autore di due libri. Ha partecipato a numerose fiction e film con cui ha saputo conquistarsi l’affetto e la stima di pubblico e colleghi, si è dedicato anche alla scrittura e alla regia di alcune grandi opere teatrali. In occasione del progetto annuale ”Incontro con l’autore”, è stato graditissimo ospite nell’Aula Magna dell’I.T.T. Ettore Majorana con il suo “Manuale di sopravvivenza dell’attore non protagonista “.
Subito dopo aver incontrato i ragazzi della scuola, Ninni Bruschetta ha gentilmente rilasciato un’intervista alla redazione del L’Ettore.
Che effetto le ha fatto avere come pubblico dei giovani lettori?
Essendo il libro principalmente scritto per i giovani, non è la prima volta che incontro i ragazzi a scuola. È rivolto ai giovani per un motivo ben preciso: è realmente un manuale di sopravvivenza, nonostante abbia la forma del racconto, un manuale in cui è però contenuto un messaggio ben preciso, ovvero quello di percorrere la propria strada da soli, con i propri piedi e le proprie forze, e perché è vergognoso che i giovani siano frenati da pregiudizi e luoghi comuni, come quello che per riuscire, nella vita, bisogna essere per forza raccomandati.
Da alunno, ha vissuto l’esperienza dell’incontro con l’autore durante la sua frequenza a scuola?
Sì, però non era comparabile ad ora. Intanto l’editoria è cambiata e quindi ci sono molte più pubblicazioni e oggi, c’è la possibilità di distinguere tra mercato editoriale vero e quello di basso livello, che, scherzando, amo definire il mercato dei “libri autofinanziati”. Ai miei tempi nelle scuole entravano principalmente i “libri autofinanziati provinciali” che nessuno comprava e che per questo, erano proposti ai giovani.
Nella fiction ‘Fuoriclasse’ il suo personaggio è quello di Salvatore Lobascio, docente di lettere e vicepreside del Liceo Scientifico Caravaggio di Torino. Al di là della finzione televisiva, che opinione ha della scuola italiana?
Voglio raccontare prima una curiosità: per impersonare Lobascio mi sono ispirato al professore più buono che avessi mai avuto, ed era il professore R.V., docente di Scienze Motorie, nostro vicepreside al Liceo Classico Maurolico di Messina. Quindi mi sono ispirato al suo modo di fare, ma trasformandolo in “cattivo” e in qualche modo gli ho dedicato questa esperienza lavorativa.
Ritornando alla domanda, la Scuola italiana, a parer mio, è sicuramente più avanti dell’Università italiana. Ho notato infatti che la scuola è cambiata e, ha ampliato le sue prospettive, sa “guardare fuori”: ciò non coincide però con l’Università italiana, perchè lo studente che esce dalla scuola, entra in un’università che è completamente autoreferenziale poiché è diventata un organo politico e questo, rappresenta un grande problema per i giovani.
Lei ha dimostrato di essere un artista eclettico dai mille interessi. Si occupa di recitazione, direzione artistica nei teatri, scrittura e regia. Quale tra questi generi preferisce?
Ti rispondo con una frase unica: “io non sono un artista ma sono un artigiano. “Ed è vero.
Affrontare varie discipline può dipendere da due variabili: o sei un genio o sei un artigiano ovvero, o sai fare tutto oppure sai applicare a ogni linguaggio il tuo lavoro.
Noi facciamo solo una cosa: rappresentazione. Il nostro lavoro è rappresentare, e da questo parte tutto il resto cioè cerchiamo di mettere insieme miliardi di possibilità.
Se non sei un genio, come credo di non essere, per affrontare delle discipline variegate devi essere un artigiano, cioè devi avere “i ferri del mestiere”.
Lei è un artista talentuoso che ha anteposto la valorizzazione della sua terra d’origine rispetto ai luoghi dove lavora. Che cos’è la messinesità nel suo essere uomo del Sud?
Maometto diceva che “ognuno di noi è di dove nasce”. Così come questa affermazione viene utilizzata nella tradizione islamica per accentuare una diversità individuale, allo stesso modo deve essere utilizzata per rappresentare la completezza di una persona.
Una persona infatti, rappresenta sé stessa, l’ambiente in cui vive e quindi anche l’ambiente in cui nasce e in cui si può specchiare, non solo nel bene ma anche nel male, per imparare a crescere e a non essere uno qualunque. Poi devo aggiungere che è un po’difficile non amare la Sicilia.
Come giudica la attuale situazione messinese. Crede che la cultura e il turismo possano mettere le ali ad una città che aspetta un decollo?
Assolutamente sì, perché dalla cultura parte la rinascita di ogni cosa così come da essa parte anche la morte di ogni cosa. Ad esempio, la cultura mafiosa che distrugge la nostra regione è ben più violenta e ben più grave delle armi dei mafiosi.
Nella copertina del suo libro si definisce un fedele tifoso dell’A.C.R. Messina, che futuro potrà avere la sua squadra del cuore?
Ironizzando, sono molto felice che dopo aver sofferto novanta minuti con l’U.S. Vibonese, abbiamo ottenuto un pareggio e ci siamo salvati. Ricordo però con molto piacere quando ancora andavo a vedere Roma-Messina o Lazio-Messina. La mia speranza è quella di festeggiare l’A.C.R. Messina almeno in serie B.
Rispetto agli anni in cui ha iniziato a dedicarsi alla cultura dello spettacolo che differenze ci sono con la situazione attuale? Se un giovane volesse intraprendere la sua carriera, cosa gli consiglierebbe?
Non consiglierei niente ad un giovane: premetto che sono soprattutto un genitore, che è ciò che ho amato più fare nella mia vita, e questo mi fa porta a pensare che non bisogna mai dare consigli sociali ai figli. I figli hanno più o meno trent’anni meno di noi, quindi vivono in un altro mondo, in un’altra realtà temporale in cui la differenza a livello tecnico e tecnologico tra noi e loro è più o meno quella tra il 1900 e il 1200.
Sul lavoro è ancora peggio, io da giovane, ad esempio, pensavo a tutto, fuorché a fare l’attore: come si può spiegare ad un ragazzo che poi hai dedicato la vita ad una strada che non avevi neppure considerato?
La compagnia teatrale da lei fondata “I Nutrimenti Terrestri” prende il nome da un’opera di André Gide il cui motto era: “donare felicità agli altri per rendere felici noi stessi”. Le chiediamo una riflessione al riguardo.
Sono d’accordo con ciò che pensava, perché la generosità è ancora appagante in sé, bisogna però essere capaci di dare.
Dare è molto più bello che ricevere e soprattutto se dai qualcosa devi essere disinteressato e non aspettarti nulla in cambio. Ed è anche necessario imporsi di non dare mai troppo, anche perché, spesso, le persone a cui si dà troppo sono proprio quelle che poi non sapranno ricambiare; in realtà bisognerebbe trovare la via di mezzo, e prestare molta attenzione perché quando ti accorgi di essere spesso deluso dagli altri, è chiaro che sei tu che stai sbagliando qualcosa.
VIVIANA BASILE 3DBA
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