E tu che siciliano sei?
È stato scritto che <<i siciliani si dividono in due grandi categorie: di scoglio e di mare aperto. Di scoglio sono quelli che, se si allontanano dalla Sicilia, il secondo giorno cominciano ad avere delle crisi di astinenza, gli mancano tutta una serie di cose e il terzo giorno devono assolutamente tornare. Di mare aperto sono quelli che fanno della loro sicilitudine una specie di patrimonio personale e lo utilizzano per vivere una vita diversa. In Sicilia ci tornano perché sta loro nel cuore, ma comunque scelgono di proiettarsi su un altro orizzonte».
La mia generazione, venuta dopo quelle che videro massicce emigrazioni nella prima metà del secolo scorso in America o in Australia alla ricerca di fortuna per sfuggire alle difficili condizioni economiche che hanno storicamente afflitto quello che un tempo si definiva il mezzogiorno d’Italia, è stata in massima parte una generazione di scoglio, legata fortemente ai luoghi, ai colori e ai profumi della nostra terra, e questo perché ha potuto godere di quegli ultimi sprazzi di sviluppo economico che ha consentito di proseguire un percorso iniziato con grandi sacrifici e con grande spirito di iniziativa dai nostri padri; ma questa stessa generazione ha dovuto rassegnarsi a sopportare il sacrificio affettivo, e non solo affettivo, di veder partire i propri figli in cerca di un futuro che la nostra terra non può più garantire a tutti loro.
Anche i nostri figli sono nel profondo dell’animo siciliani “di scoglio”, ma molti di loro si sono dovuti rassegnare con la rabbia nel cuore ad affrontare non pochi sacrifici e a cercare fortuna altrove. Nella nostra terra hanno certamente avuto la possibilità di studiare e di raggiungere anche alti livelli di formazione, di usufruire di un sistema di istruzione che pur con molti problemi ha certamente anche grandi qualità, ma, purtroppo, a poco serve l’istruzione se poi mancano le opportunità di lavoro.
È forse compito di questa nostra generazione, così fortunata ma al contempo così tormentata per il destino dei propri figli, di avviare una profonda riflessione sulle condizioni in cui versa la nostra terra, sui suoi problemi millenari ma anche sulle sue enormi possibili risorse e potenzialità inespresse. Bellezza insuperabile del territorio, storia, tradizioni, cultura, grandezza e generosità di animo, nulla ci manca per potere superare ogni difficoltà, per fare della nostra terra un giardino fiorito in cui possano trovare spazio tutti i nostri figli che in essa vogliono continuare a vivere e a lavorare. Dovremmo saper rinunciare ad ingiusti privilegi, a sperimentare uno spirito di impegno comune e solidale che trascenda da posizioni di parte e dalla difesa di singoli interessi per fare della nostra terra un luogo in cui potere tutti vivere e lavorare. So che queste affermazioni possono essere giudicate solo una ingenua utopia, ma se veramente lo volessimo e tutti assieme ci impegnassimo, potremmo trasformare questa utopia in una splendida realtà.
Cinzia Coscia