venerdì, Novembre 22, 2024
Comprensivo Milazzo 1

La seconda guerra mondiale raccontata a fumetti…gatti, topi, maiali, cani e rane sono i protagonisti.

“Leggete Maus.
Infilate occhi e mani tra quei topi sporchi e in fuga, tra quei gatti malvagi e razzisti; lasciate che lo sguardo e la mente vengano catturati dalla cruda, indifesa ruvidezza dei disegni, della narrazione, dei tratteggi”.

“Maus” (in tedesco topo) è uno splendido romanzo a fumetti in cui il fumettista statunitense Art Spiegelman si confronta con la tragedia della shoah (termine ebraico ricavato dalla Bibbia che significa catastrofe, disastro) e con la figura del padre, un sopravvissuto di Auschwitz, cercando nello stesso tempo di “custodire” un’opera narrativa di grande impatto.

L’opera si divide in due parti:

“Mio padre sanguina storia” composta da 6 capitoli pubblicati per la prima volta nel 1986, che narrano delle condizioni di vita degli ebrei prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale.

E qui sono cominciati i miei guai” composta da 5 capitoli pubblicati per la prima volta nel 1991, narranti la vita dei deportati all’interno dei lager (campi di concentramento) durante la guerra.

“Maus” racconta di un giovane uomo, Vladek, che assapora i piaceri della vita in Polonia, dov’era andato a trovare la sua famiglia. Nel paese polacco di Sosnowiec, egli si innamora di una giovane ebrea di nome Anja, ma allo scoppio della guerra, avvenuto l’1 settembre 1939, i due amanti sono costretti a separarsi, e Vladek viene mandato al confine, dov’è catturato dalle truppe nemiche. Da qui comincia una vita in cerca di posti in cui nascondersi per sfuggire alle persecuzioni naziste. Passato del tempo, i giovani si rincontrano e decidono di attraversare la frontiera per arrivare in Ungheria, però vengono intercettati e mandati al campo di concentramento di Auschwitz dove Vladek è costretto a fare il calzolaio, lo stagnaio ed altri lavori pesanti.

I protagonisti di questo romanzo a fumetti non sono esseri umani, (ed è questa la vera novità), bensì animali: ebrei-topi, nazisti-gatti, polacchi-maiali, americani-cani, francesi-rane. Spiegelman intende riprendere in linguaggio del nazismo per costruire la sua opera, infatti lo stesso Hitler chiamava gli ebrei con sommo disprezzo “ratti”. Egli afferma che i simboli utilizzati in questo libro li abbia presi in prestito dai tedeschi, anche se è una follia separare le cose con demarcazioni di carattere nazionale o razziale. Spiegelman basa la sua opera sulla convinzione che “tutti noi pensiamo a fumetti” poiché è un linguaggio capace di mischiare le influenze delle più diverse aree artistiche senza comunque perdere personalità.

Nel libro emerge il rapporto padre-figlio tra Vladek e Art, dove quest’ultimo mette in evidenza la personalità del padre senza evitare i lati più sgradevoli, infatti, egli è un uomo: avaro, razzista, con l’ossessione morbosa della prima moglie Anja, e con un’affettuosa insensibilità nel rapporto con il figlio, il quale si sente sempre inadeguato e indegno di essere erede di genitori sopravvissuti ad Auschwitz. La mancanza di dialogo con entrambi, lo tormenta al punto da fargli provare invidia per Richieu, il fratello che non ha mai conosciuto perché venne avvelenato dalla balia per non dover subire i drammatici trattamenti riservati agli ebrei, inoltre è assalito da sensi di colpa per il suicidio della madre.

“Maus” è la volontà disperata di vivere nonostante tutto, di provare a raccontare ciò che non si può raccontare, voltando pagina ma senza dimenticare nulla. L’autore sceglie di affrontare un tema serio con un pizzico di sapiente ironia e la sua opera risulta essere un capolavoro assoluto dell’arte del fumetto della fine del Novecento, grazie alla quale il fumettista ha vinto il Premio Pulitzer (il primo dato a un’opera a fumetti).

Elena Basile

 Alessia Palmi

Classe III B Istituto Comprensivo Primo

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