“Carnevale vecchio e pazzo…”
Maschere, coriandoli e stelle filanti. Sfilate e carri allegorici. Dolci fritti e gustosi secondo le migliori tradizioni culinarie. Sono questi gli ingredienti festosi del periodo dell’anno che, secondo il calendario cattolico, precede la Quaresima. E forse proprio in questa continuità temporale, è da ricercare l’origine del termine Carnevale.
Probabile è infatti la derivazione dal latino “carnem levare” ovvero eliminare la carne, come se si trattasse di una sorta di addio ai banchetti gustosi del giovedì e del martedì grasso, dinanzi all’incombere del digiuno quaresimale. L’interpretazione sembrerebbe essere avvalorata dalla somiglianza della parola Carnevale con il termine latino “vale”, utilizzato come formula di commiato.
In effetti le origini della tradizione carnevalesca vanno ricercate in un percorso che volge ancor più a ritroso rispetto alla tradizione cattolica; con i suoi travestimenti, richiama infatti riti apotropaici molto antichi, e momenti di sfogo sociale in cui il sovvertimento delle regole rappresenta l’eccezione di un istante immediatamente precedente al richiamo all’ordine.
<Semel in anno licet insanire> è l’aforisma latino che condensa il significato originario del Carnevale. Una volta l’anno è concesso un momento di follia, in cui le regole vengono sovvertire e il caos riprende per un attimo il dominio del mondo. Ma il caos è quello primigenio, originario, il caos che anticipa una nuova creazione.
L’annullamento momentaneo delle gerarchie, il rovesciamento dell’ordine, i servi che diventano padroni e i padroni che servono gli schiavi sono consuetudini sociali con radici antiche, in cui esiste il comune denominatore di un rituale che vuole offrire una via di fuga circoscritta nel tempo alle frustrazioni individuali e collettive. Già nelle Dionisie greche il furore e l’euforia davano luogo a momenti di vera e propria baldoria istituzionalizzata. In Mesopotamia, il re veniva deposto ed umiliato dalla folla; durante i Saturnali a Roma, gli schiavi potevano considerarsi temporaneamente liberi, mentre veniva estratto a sorte un princeps, vestito poi con una maschera buffa.
La maschera del Princeps Saturnalicius era caratterizzata da colori sgargianti, uno su tutti prevaleva, il rosso, colore delle divinità. Sì, perché la maschera rappresentava Saturno o Plutone, divinità protettrice dei raccolti ma anche identificata con il mondo degli Inferi. E qui si riallaccia un altro significato del travestimento. La Primavera alle porte segna il momento in cui la terra riscopre la sua energia e, secondo il culto di Cerere e Proserpina, il mondo dei vivi si fonde con quello dei morti. È usanza antichissima quella di mascherarsi per acquisire caratteristiche soprannaturali che possano confondere gli spiriti. Un po’ come accade per la festa di Halloween nei paesi di cultura celtica.
Ma il Carnevale prosegue il suo percorso e dal Medioevo, in cui assume ancora il significato di un mondo vissuto “alla rovescia”, in cui dilaga la burla delle figure dei potenti e delle gerarchie, si giunge all’epoca umanistico-rinascimentale, momento in cui il gusto raffinato delle corti signorili lega i festeggiamenti del Carnevale all’arte, al teatro, alla danza e alla musica.
Come non ricordare a questo punto i Canti Carnacialeschi di Lorenzo il Magnifico, canti nati per accompagnare le sfilate di carri allegorici e costumi sfarzosi. Tutti ricordiamo il ritornello de “Il trionfo di Bacco e Arianna” il più famoso dei canti di Lorenzo dei Medici, e il suo inneggiare alla spensieratezza e al divertimento dell’attimo che non pensa al domani.
E non dimentichiamo il contributo che proprio dal ‘500 la Commedia dell’arte ha dato al Carnevale: il teatro ha generato le maschere che ormai tutti conosciamo e che nel tempo hanno assunto carattere spiccatamente regionale. Pulcinella è la maschera della Campania, Balanzone è emiliano, Meneghino, Arlecchino e Brighella sono lombardi, Colombina e Pantalone veneti e Peppe Nappa siciliano.
Ai giorni nostri il Carnevale continua ad essere per antonomasia il periodo dell’anno dedicato alla gioia del festeggiamento, delle sfilate e dei travestimenti, ancorati spesso alla tradizione ma ulteriormente nutriti dagli spunti offerti dall’attualità, e soprattutto occasione per fare satira politica, irridere a chi ci governa, così come ci ha insegnato la storia del Carnevale.
Il divertimento diviene, anche se per pochi giorni, irrinunciabile priorità prima del ritorno al dovere, un po’ come ha descritto lo stesso Gabriele D’annunzio nei versi dedicati al Carnevale all’interno della raccolta “Versi di amore e di gloria”. Per il poeta vate il Carnevale è un vecchio pazzo che spende tutto quello che ha pur di divertirsi e che mangia e beve fino a morirne. Ma nella logica di un “carpe diem” del divertimento, il Carnevale e le sue scelleratezze ritornano nella polvere o se vogliamo nella cenere. <Dalla polvere era nato ed in polvere è tornato> allude forse al fantoccio che viene bruciato alla fine del Carnevale oppure alla cenere del mercoledì di Quaresima, che segna la fine dei festeggiamenti e con i suoi precetti di astinenza e digiuno simboleggia il rientro inevitabile nei ranghi.
Annarita Formica