Storie di mafia, di donne, di coraggio
Martedì 7 febbraio, la Scuola Secondaria di primo grado “Zirilli” si è recata al teatro “Trifiletti” di Milazzo, per assistere ad uno spettacolo teatrale che fa parte della rassegna ” Se si insegnasse la bellezza”. La rappresentazione ha esaltato il valore della giustizia e il coraggio delle donne che hanno contrastato implacabilmente la mafia, ferite dalla tragica uccisione dei mariti, dei padri e, soprattutto, dei figli.
Una serie di storie che colpiscono lo spettatore per la loro drammaticità, per l’intensità interpretativa degli attori, per l’incalzare degli avvenimenti, tutti fortemente emozionanti.
Una di queste donne era Serafina Battaglia, che viveva a Godrano, in provincia di Palermo, alla quale vennero uccisi prima il marito, Stefano, e poi il figlio, Salvatore. Il 9 aprile 1960, suo marito, espulso da “Cosa Nostra”, cadde per mano di mafiosi. Serafina convinse il figlio a vendicare il padre, ma anch’egli ebbe la stessa sorte. Sconvolta dal dolore, ma forte e spietata, ebbe il coraggio di testimoniare contro i colpevoli, che finirono in carcere.
Un’altra donna coraggiosa fu Giuseppa Di Sano che, alla fine dell’Ottocento, subì la perdita della propria figlia, uccisa ingiustamente. La donna racconta la loro storia: una sera, degli scagnozzi entrarono nel negozio di famiglia e incominciarono a sparare; il marito era ubriaco e stava giocando a carte. Giuseppa fu colpita alla spalla e nel fianco, la figlia ad una tempia. Quest’ultima si inginocchiò, poggiò la testa sul braccio destro e morì. Poi, venne ucciso il padre. Le ferite della madre sarebbero guarite in quindici giorni, ma il dolore per la perdita non l’avrebbe mai abbandonata.
Felicia Impastato, mamma di Peppino, la mafia ce l’aveva in casa: il marito, Luigi, era un pezzo importante. Egli tradì la moglie e fu cacciato da casa, ma dopo un certo periodo vi fece ritorno. Il figlio, Peppino, era un ragazzo che lottava contro la mafia e voleva aiutare la gente. Con due amici, aprì una radio, “radio out”, che veniva utilizzata per prendere in giro i grandi boss della mafia. Il padre diceva sempre che, prima di uccidere suo figlio, avrebbero dovuto uccidere lui.
E fu proprio così. Una sera, Peppino stava rientrando in casa, quando, ad un tratto, fu colpito e cadde in terra. A quel punto, lo presero a calci. Stordito, venne portato prima in un casolare di campagna, dove fu selvaggiamente picchiato, poi, forse già morto, fu adagiato sui binari del treno e legato ad una bomba. I suoi resti furono ritrovati sugli alberi… Venne accusato di essere un attentatore, si disse che era morto nell’intento di far saltare in aria il treno che sarebbe passato da lì. Se non fosse stato per i suoi amici, la gente avrebbe creduto ad una simile accusa.
Francesca Serio era la madre di Salvatore Carnevale, un uomo molto religioso, che era solito dire: -Se uccidono me, uccidono Gesù. La madre fece di tutto per crescere nel migliore dei modi il figlio. Andava a raccogliere le olive, le mandorle, poi passava ai piselli, inoltre mieteva l’erba per i cavalli. Insomma, si faceva in quattro per allevarlo. Quando il figlio divenne adulto, partì come soldato, e prese parte all’attività politica, militando nel Partito Socialista. Una notte, Francesca sognò l’omicidio del figlio e gli disse di stare lontano dalla cava, ma lui non le diede retta. La mattina seguente, la donna seppe che un uomo era stato ucciso e immaginò che fosse Salvatore.
Graziella Campagna, diciassette anni, venne uccisa solamente per aver trovato un’agendina. Era una ragazza solare, semplice, ingenua, che amava la vita, aveva rinunciato alla scuola per andare a lavorare e dare un contributo alla famiglia. Una sera, stava aspettando il pullman per ritornare a casa e, vicino a lei, si fermò una macchina, con due uomini all’interno. Uno di loro era un cliente della lavanderia, perciò si fidò, e salì in auto, certa che grazie allo “strappo” in auto “gentilmente” offerto, sarebbe rientrata a casa prima del solito. Invece fu trascinata in un luogo solitario dove venne uccisa a colpi di pistola. Tutto ciò accadde perché un giorno, mentre sbrigava il suo lavoro in lavanderia, aveva trovato un’agendina in una giacca, che riportava la vera identità di un “distinto signore”, in realtà un latitante mafioso protetto dalla complicità e dal silenzio perfino degli insospettabili.
L’ultima donna ad essere stata rappresentata è Rita Atria, a cui vennero uccisi tre uomini per lei molto importanti. Il primo fu il padre, il secondo suo fratello e, per ultimo, il giudice Paolo Borsellino. La sua morte fu per lei devastante fino al punto da privarla di ogni speranza e spingerla al sacrificio estremo, la sua stessa vita.
Questo spettacolo mi è piaciuto molto, gli attori sono stati davvero bravi, durante la recitazione si sono immedesimati a tal punto che una di loro si è messa a piangere. Erano tutti attori siciliani e questo ha reso ancora più verosimile l’interpretazione. I loro nomi sono: Beatrice Damiano, Oriana Civile e Rossano Artino Innaria. La regista è Marina Romeo. Alla fine dello spettacolo, la regista, il fratello di Graziella Campagna e l’assessore Presti hanno preso la parola e ci hanno emozionato con i loro interventi.
Rosaria Grasso classe 2^B