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INTERVISTA AL SOSTITUTO PROCURATORE DELLA PROCURA DI BARCELLONA P.G. DOTTORESSA PAIOLA.

Interessante giornata dedicata all’educazione alla legalità è stata vissuta dagli studenti delle II classi dell’ITT Majorana.  Numerosi gli ospiti intervenuti sul tema: “Educazione alla legalità e sensibilizzazione ai temi della giustizia con particolare riguardo alla distinzione tra accusa, difesa e chi è chiamato a decidere.”

All’interessante dibattito sono intervenuti i procuratori del tribunale di Barcellona P.G. Dott.ssa Paiola e Dott. Gugliotta, il Ten. Valentino Adinolfi, il Ten. Cristian Letizia ed il M. llo La Rosa della Compagnia di Milazzo.

Dopo il saluto del D.S. Stello Vadalà che ha sostenuto con entusiasmo l’iniziativa organizzata dalle docenti Scaffidi e Genovese e da tutti gli insegnanti di Diritto, si è passati alla trattazione di numerosi argomenti finalizzati a sviluppare negli allievi la coscienza civile e la convinzione che laddove ci siano partecipazione, cittadinanza, diritti, regole, valori condivisi, non può esserci criminalità. Promuovere la cultura della legalità a scuola significa anche educare al rispetto della dignità della persona attraverso la consapevolezza dei diritti e dei doveri.

Alla fine del convegno abbiamo posto delle domande alla dott.ssa Federica Paiola.

Perché ha scelto di dedicare la sua vita alla legalità?

Dedicare la mia vita alla legalità non è stata una scelta o una decisione, bensì una   passione che ho coltivato fin da piccola con la volontà di svolgere proprio questo lavoro. Credo che dedicare la vita alla legalità sia davvero qualcosa di bello perché ci si sente utile per la società, per la garanzia dei diritti dell’uomo. È una passione per il lavoro, per quello che esso rappresenta: aiutare qualcuno a stare meglio credo sia la soddisfazione più grande, unitamente alla speranza di evitare di commettere reati e di portare la giustizia nel senso di convivenza civile fra le persone.

È faticoso conciliare il suo percorso di carriera col percorso di vita personale, familiare?

Nel mio mestiere non si può distinguere il percorso di carriera da quello di vita personale e familiare. La legalità si ha dentro, non ci si può svestire di essa in base al ruolo che si vuole assumere, si vive rispettando quei valori, quelle stesse virtù che si predicano! Viene sacrificata la vita privata ma solo oggettivamente, nel senso che non diventa una privazione se il lavoro viene svolto con la passione che cresce costantemente durante la vita di tutti i giorni. Poiché è proprio il lavoro ad essere la tua vita, non è qualcosa che si fa e quando si torna a casa non ci si pensa più: si ha la responsabilità delle persone e di tutte le decisioni che vengono prese nei loro confronti. È, possiamo dire, un sacrificio mosso da una passione. Forse lo è stato da giovane, durante gli studi ma sempre mosso da una grande passione.

Ritiene che sia importante incontrare i ragazzi nelle scuole e promuovere questi percorsi di educazione alla legalità?

Si, assolutamente d’accordo.  Ritengo importante incontrare i ragazzi nelle scuole, poiché soprattutto nell’attuale generazione la mediatizzazione della giustizia è molto forte. Spesso si vedono alla televisione i processi e si parla di casi di cronaca giudiziaria ed è quindi opportuno che i ragazzi sappiano quali siano i ruoli e le garanzie che ci sono, conoscere i diritti e capire il senso di un arresto e di una pena, capire qual è la responsabilità del giudice quando dà una pena. È fondamentale capire che la giustizia non è qualcosa che sta sull’Olimpo e che viene calata dall’alto, ma viene dal basso! La giustizia, dice la Costituzione, è amministrata in nome del popolo ed è quindi di significativo valore che ci sia questo incontro fin dalla nascita del popolo, che siete voi!

Qual è secondo lei il mezzo migliore per insegnare il rispetto della legalità?

Pensare di poter essere un giorno imputati o persona offesa. Ciascuno deve educare sé stesso alla legalità, non esiste propriamente un modo per insegnare, è qualcosa che si deve sentire dentro anche cercando di mettersi nei panni dell’imputato o della persona offesa e provare ad immaginare ciò che ci si aspetterebbe dal giudice, dal pubblico ministero e dalla società. È importante dare una seconda possibilità a colui che sbaglia, dando così l’opportunità di scontare la pena, di risocializzarsi, provando in seguito a reintegrarsi all’interno della società. La cultura della legalità viene da dentro.

Cosa prova quando una sentenza riesce a far valere la legge nei confronti di una persona che è stata oggetto di soprusi?

Quando in una sentenza si riesce a far valere le leggi nei confronti dei una persona che è stata oggetto di soprusi, non c’è una soddisfazione personale ma professionale, poiché si ha la consapevolezza di aver raccolto delle prove, di essere riusciti a convincere il giudice e riuscire a dimostrare l’ipotesi di accusa e, quindi, di aver fatto un buon lavoro. Il fatto che il processo si sia concluso con una condanna non ripara il danno, poiché la funzione della pena non è mai retributiva né repressiva.

Lei ritiene che il nostro sistema giudiziario sia al passo con i tempi? Sia, cioè, adeguato alla nostra società o che sarebbe necessario un suo adeguamento?

Il sistema giudiziario è solo in parte al passo con i tempi. Non sempre il legislatore riesce a stare dietro allo sviluppo delle tecnologie; è difficile infatti tenersi aggiornati rispetto alle scoperte scientifiche e alla loro evoluzione. È difficile che la normativa stia al pari passo con la scienza, si tende ad avere una maggiore velocità di evoluzione della scienza rispetto alla capacità del legislatore di adeguare le norme scritte in precedenza.  Relativamente alla fattispecie di reato, invece, siamo abbastanza avanti coi tempi.

DALILA CUPPARI-ENORA MAZZEO II C BS

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