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Mangiare maiorchino…che delizia questo formaggio di nicchia!

Ma voi sapete che cos’è il maiorchino?

Gli appassionati di geografia pensano subito  al dialetto maiorchino,  sottovariante del balearico parlato nell’isola spagnola di Maiorca… ma i golosi come noi, pensano soprattutto al formaggio… decisamente  più gustoso. Come non potrebbe essere un’eccellenza tra i formaggi, il maiorchino, fatto con il latte di pecora della razza Pinzirita a cui si aggiunge il latte caprino della razza messinese. Ma perché è così buono? Un motivo è senz’altro dovuto al fatto che la zona montuosa dove si incontrano le catene dei Nebrodi e dei Peloritani, è ricca di intensa vegetazione e di un fitto manto boschivo (faggete, castagneti, noccioleti) ed i suoi pascoli montani, per via della purezza e della fresca temperatura dell’ambiente, sono ricchi di rare essenze foraggere spontanee.

La produzione del Maiorchino ha le sue origini a Novara di Sicilia e si è successivamente diffusa nelle aree limitrofe: Fondachelli Fantina, Basicò, Tripi, Mazzarà S. Andrea, Montalbano Elicona e Santa Lucia del Mela.

Quanta pazienza e quanto lavoro stanno dietro alla sua realizzazione! Il buonissimo formaggio pecorino a pasta dura, dopo essere stato filtrato si versa nella” codara” o “quadara” grosso recipiente di rame e si cuoce ad una temperatura di 60 gradi sul fuoco a legna.  Una volta tolto dal fuoco, si versa il caglio in pasta di agnello o di capretto, che si è fatto sciogliere in acqua tiepida, si mescola il tutto e si copre con una pelle di pecora. La sostanza si coagula e con la “brocca”, un bastone, si ottengono grani piccoli paragonabili ai semi di miglio. La sostanza quagliata, si ricuoce e si porta all’ebollizione a circa 60 gradi per l ricotta. Nel siero della ricotta si riemerge la garbua (fascera di legno) contenente il maiorchino e si lascia per qualche ora.  Dopo essersi raffreddato e messo in posizione obliqua, si attende circa venti minuti, il suo contenuto deve riposare per facilitare la sedimentazione della massa caseosa sul fondo. Questa massa viene raccolta, in genere, con l’ausilio di un telo e viene poggiata su un piano di legno “mastrello”.

Segue, la fase di spurgo, facilitata da piccoli fori nella pasta, fatti con i” minacini”, sottili aghi di legno o ferro.

Grazie al “minacino”, si rompono le bolle d’aria della pasta ed esce un liquido detto “acciada”. Quando inizia a fermentare comincia la fase di salatura, effettuata con sale marino grosso. Ogni tre giorni, il maiorchino si ribalta e si cosparge dall’altro lato, per un periodo di 20 o 30 giorni a seconda delle dimensioni del formaggio. Il maiorchino per due mesi si strofina e si pulisce. Il lavoro è assai delicato, in questa strofinatura periodica infatti, bisogna stare attenti a non poggiarlo sempre dallo stesso lato. Dal terzo mese si spalma dolcemente l’olio di oliva, naturalmente in piccole quantità.  La maiorchina classica, deve essere stagionata otto mesi, (ma può arrivare anche ai 24 mesi) deve pesare dai 10 ai 12 Kg., avere uno spessore che va dai 10 ai 12 cm ed un diametro di circa 35 cm. Il colore deve tendere al giallo e la morbidezza deve essere la sua caratteristica principale. Buon appetito a tutti!

 

Il maiorchino, per le strade di Novara …rotola, rotola e non si rompe!

Tanti spettatori parteggiano per l’uno e l’altro contendente e ad ogni lancio della maiorchina, riecheggia: “Bora a smugliau” I gammi, gammi…”

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Il gioco della maiorchina inizia nel lontanissimo 1.600, epoca della dominazione degli Spagnoli in Italia, dopo i lavori nelle strade di Novara di Sicilia, per renderle battute e far rotolare la forma di formaggio stagionato. Ci devono essere 2, 4 o 6 contendenti, scommettitori e bisogna lanciare “la ruzzola” di cacio. Vince chi ha fatto meno lanci nel raggiungere il traguardo e la squadra che raggiunge per prima “a sarva”, a parità di lanci, si gusta da vincitrice, un bel piatto di maccheroni di casa con formaggio gettato a manciate.

Il tutto avviene a Carnevale, perché il maiorchino viene prodotto da febbraio a giugno (prevalentemente in primavera perché il latte ovino-caprino rende meglio). Il gioco, definito “delle meraviglie”, perché fino alla fine ci possono essere trabocchetti o imprevisti, può essere regolato dalla fortuna che aiuta i principianti e volta le spalle ai più esperti.  I giocatori fanno il tocco per iniziare il gioco e viene attorcigliato un laccio di 1 metro circa, “a lazzata”, molto robusto, che imprime maggiore forza al lancio. Tirato con il laccio dal giocatore, il maiorchino saltella e sbatte qua e là, precipita lungo la strada, immettendosi in vicoli, non previsti dalle condizioni del gioco e quindi non avendo la forza di girare si adagia a terra, spesso in fossi, e talvolta va a “tombolare” sotto le case. Attenzione quindi ai pericoli disseminati lungo il Vallone Falanga e lungo la strada che conduce al Piano Don Michele.  Quando la maiorchina veloce e dritta percorre l’itinerario prestabilito, il coro esulta. Così durante i pomeriggi della settimana di Carnevale, sono tanti gli appassionati nel tratto dalla “Cantuea da chiazza” alla Salva (traguardo del gioco) dove si svolge il popolare torneo. In questi ultimi anni partecipano anche giocatori che vengono da altri paesi e da poco sono ammesse anche le donne e vuole la tradizione che la finale del torneo, si svolga durante il martedì grasso. Non possiamo dunque perderci questo spaccato di folclore, semplice e genuino come la civiltà pastorale e contadina dell’antico borgo collinare. Buona fortuna a tutti… belli e brutti!

 

Francesco Maria Zanghì

Carol Benedetta Greco

Alessio Picciolo

Classe I E Istituto Comprensivo Primo Milazzo- Scuola media Garibaldi

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