La voce calda di Vittorio Sermonti, precursore di Benigni … colui che ha dato voce a Dante.
Si spegne la voce del grande dantista. Aveva 87 anni. Era stato anche docente all’Accademia di arte drammatica.
«Lavoro per qualsiasi contemporaneo abbia conservato come me una stella filante, un coriandolo di “ragazzità”, che insomma non sia disperatamente convinto di aver capito già tutto della vita…». Così si è congedato, su Facebook, il «ragazzo» ottantasettenne Vittorio Sermonti. Lo scrittore, il poeta, il drammaturgo, l’attore, il regista, il commentatore, l’interprete, il traduttore, il saggista, il giornalista, il lettore onnivoro che è riuscito a «morire da vivo», come desiderava.
È stato davvero un intellettuale creativo e del tutto sui generis, Sermonti, con la sua energia instancabile, la sua ironia, il suo aplomb anglosassone e la sua passione viscerale non solo per la letteratura ma anche per le donne (ipse dixit) e per il calcio (da juventino indomito ha dedicato all’epopea del football un libro intitolato Dov’è la vittoria, 1983).
Ha vissuto al tempo stesso dentro e fuori la cultura del dopoguerra italiano, avendo avuto amici come Pasolini, Bassani, Parise, Garboli, Gassman, Carmelo Bene, avendo frequentato il giro di Roberto Longhi e della rivista «Paragone» dopo essersi laureato con Sapegno e Macchia, avendo collaborato con la televisione e la radio (ha diretto una ventina di «interviste impossibili»), avendo viaggiato in lungo e in largo dentro il teatro; ma avendo anche abitato nella Germania della Guerra Fredda e nella Praga della Primavera.
Dal soggiorno nella città di Kafka, Sermonti trasse il libro che, per sua ammissione, amava di più ritenendolo anche il migliore: Il tempo tra cane e lupo (1980), «una raffica di ottantanove racconti brevi o brevissimi che svolazzano sulla città di Praga, più o meno al tempo del famoso “socialismo dal volto umano” e della conseguente invasione dei carri armati del Patto di Varsavia (agosto 1968)». Quel libro gli fece guadagnare l’ammirazione di lettori d’eccezione come Manganelli, Giudici, Raboni, anche se, come spesso accade, la fortuna editoriale non è stata proporzionale alla sua bellezza.
E fu grazie ai racconti-galeotti su Praga che, sempre per sua stessa ammissione, Sermonti conobbe «il poeta-donna» Ludovica Ripa di Meana, quella degli scandali, con cui avrebbe poi convissuto per oltre trent’anni, dopo un primo matrimonio con Samaritana Rattazzi (figlia di Susanna Agnelli).
Vittorio incontrò la letteratura sin dall’infanzia, in una casa (padre avvocato pisano, madre palermitana, sei fratelli) frequentata dal drammaturgo girgentino Luigi Pirandello, oltre che da pezzi grossi dell’economia e della giurisprudenza, come Alberto Beneduce, Enrico Cuccia, Vittorio Emanuele Orlando, che fu suo padrino. Ma incontrò ben presto anche il teatro, e mettendo insieme le due passioni tradusse Molière, Racine, Schiller e anche il capolavoro di Lessing, Nathan il Saggio, con la consapevolezza che «tradurre per il teatro non è solo tradurre da lingua a lingua: è tradurre da voce a voce». E chissà che la stessa cosa non sia valsa anche per le versioni «spericolate» dell’Eneide (2007) e delle Metamorfosi di Ovidio (2009).
La voce è un elemento chiave della personalità intellettuale e creativa di Sermonti: ciò che probabilmente lo avvicina a Dante, come finissimo commentatore, poi lo accosta anche all’idea di leggere in pubblico la Commedia (l’appellativo Divina fu aggiunto da Giovanni Boccaccio) l. Leggendo il poema in pubblico, sin dagli anni Novanta, Sermonti ha anticipato la voga dei festival, precedendo anche il Benigni dantesco televisivo e nazionalpopolare. Furono il filologo principe Gianfranco Contini (per le prime due cantiche) e poi Cesare Segre (per la terza) a garantire la supervisione critica del suo commento, rigoroso e affabile, che avrebbe avuto un notevole successo nelle scuole oltre che nella lettura integrale radiofonica, in seguito portata nella basilica di San Francesco a Ravenna, ai Mercati di Traiano e al Pantheon di Roma, dal 2003 al 2005 al Cenacolo fiorentino di Santa Croce e a Santa Maria delle Grazie di Milano, varcando poi i confini italiani. Affluenze record di decine di migliaia di persone attratte dalla sua voce calda e confidenziale, mai banale, che sembrava emergere dalle profondità di una immersione totale nei vari strati del testo poetico.
Mise a frutto ovunque il suo esercizio della recitazione, ma anche l’esperienza di docente di tecnica del verso teatrale all’Accademia d’Arte drammatica. E la vocazione musical-vocale, che gli fece maturare il sogno (fallito) di diventare pianista, musicista, compositore.
Colto, raffinato frequentatore della grande letteratura europea, appassionato della tessitura contaminata di Gadda, sin dalle prime prove Sermonti viene classificato tra gli scrittori espressionisti, giocoliere di linguaggi e di esperimenti tecnici anche nelle poesie di “Ho bevuto e visto il ragno” (1999). “Se avessero”, invece prende avvio da un’ipotesi collocata nel maggio 1945: se tre partigiani alla ricerca di un ufficiale fascista, entrati con i mitra nella sua casa milanese, avessero sparato al fratello… È una ricerca, non lineare di sé, dentro la propria memoria stratificata e capricciosa, una narrazione svolta in seconda persona che continuamente sposta il fuoco dell’attenzione verso luoghi, tempi e personaggi diversi: tra questi il padre Alfonso, fascista, una madre considerata «cattiva», un fratello missino, Rutilio, che voleva far rivivere il mito di Mussolini e il Reich. E non manca ovviamente lo stesso Vittorio che da giovane indossò la camicia nera e si iscrisse al Pci, senza più rinnovare l’adesione, proprio nel 1956, anno dei fatti d’Ungheria.
Nasce da un’idea «vocale» (radiofonica) anche la sua bellissima raccolta di scorribande letterarie, “Il vizio di leggere”, bilancio di un «bibliodipendente mai pentito» che ci accompagna con discrezione e con stile da Saffo (poetessa greca) a Faulkner, da Catullo (l’amante di Lesbia) a McEwan, con lo scopo dichiarato di «sobillare il prossimo alla lettura». Poi venne “Il vizio di scrivere”, un’autoantologia che si conclude con pensieri, frasi e storielle intitolate “La morte non esiste”. Si è spenta una grande luce …che ha lasciato un’immensa eredità!
Alice Trimboli II B
(Istituto Comprensivo Primo Milazzo–Scuola media Garibaldi)