lunedì, Dicembre 23, 2024
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“VITE DA MONSTERS” – INTERVISTA AL GRANDE ATLETA ANDREA DEVICENZI

MONSTERS è un acronimo (Motivazione, Obiettivi, Nemici, Stato, Top, Energia, Ricerca, Sinergia), che racchiude in sé otto fondamentali strategie a cui le nostre vite dovrebbero ispirarsi, è “Vite da MONSTERS “è il titolo del volume scritto da Andrea Devicenzi, in collaborazione con Pierpaolo Vigolini, un manuale di sopravvivenza in una vita che non è mai facile.

E di difficoltà ne è sicuramente un esperto in materia l’autore Devicenzi, lui, proprio lui, che all’età di 18 anni ha subìto, a causa di un terribile incidente stradale, l’amputazione di una gamba.

Una così giovane età e un profondo amore per la vita dinamica e soprattutto per lo sport non possono essere ingredienti della ricetta che ti permetterebbe di accettare un cambiamento di queste dimensioni nella vita.

Eppure il giovane Andrea dimostra a sé stesso e a chi ha la fortuna di incontrarlo qual è la forza della nostra mente, in che modo possiamo superare le nostre difficoltà.

Devicenzi è innanzitutto un atleta, che si è lanciato in innumerevoli gesta sportive che potrebbero risultare impossibili a chi ha subito una menomazione fisica come la sua. Ricordiamo la sua bravura nel triathlon con cui riesce a conquistare un bronzo in Israele, la partecipazione a numerose granfondo, le avventure effettuate con il trekking in giro per il mondo, dall’ascesa all’Etna all’esperienza solitaria verso il sito archeologico di Macchu Picchi in Perù.

Per Devicenzi lo sport ha un valore che va oltre la singola prestazione atletica, perché rivela le potenzialità insite in ognuno di noi, ci spinge all’integrazione, a sviluppare la fiducia in noi stessi. Per questo decide di diventare anche mental coach, di scrivere un libro che raccontasse la sua esperienza e di incontrare i giovani nelle scuole. E I giovani, gli adolescenti sono forse la categoria più fragile della nostra società, quella che più di tutti necessita di una spinta motivazionale.

Ecco che ieri, 17 novembre, Andrea Devicenzi ha incontrato anche i ragazzi dell’ITT Ettore Majorana, nell’Aula Magna del Tecnologico di Milazzo e ha loro ha regalato sorrisi, speranze, esperienza.

Ha risposto alle loro domande con pazienza e disponibilità: ecco di seguito il contenuto dell’intervista.

intervista devicenzi

 

1) Il suo libro “Vite da MONSTERS” racconta la sua straordinaria esperienza di vita. Da dove nasce e cosa significa l’acronimo “MONSTERS”?

Nasce dal desiderio e dal sogno di scrivere un libro, era un pensiero che avevo in mente da un po’ di tempo. MONSTERS è un acronimo e nel libro ho inserito la mia biografia fatta di episodi della mia vita strettamente legati a Motivazione, Obiettivi, Nemici, Stato, Top, Energia, Ricerca, Sinergia. Bisogna sempre migliorare le proprie performance e lo si può fare andando a evidenziare cosa ti motiva, cosa ti dà energia e che ti permette di mettere tutte insieme queste parole.

2) In quale ambito agisce e in cosa consiste nello specifico il ruolo e la professione del mental coach?

– La formazione nelle ditte, nelle aziende e nelle scuole è un canale molto importante per il mental coach. Questo ha il compito di lavorare sul punto di vista mentale attraverso tecniche e strategie per migliorare qualsiasi performance. Molti atleti sono rimasti influenzati dall’attività del mental coach che segue chiunque voglia migliorare le proprie performance ma nello stesso tempo gli allenatori no perché si sentono in un certo senso “scavalcati” da questa figura, quando invece il ruolo di questa professione è un altro e non deve essere trascurato.

3) In tutte le sue esperienze ha mai pensato di mollare o di sentirsi scoraggiato? E poi dove e come ha trovato la forza di andare avanti e ricominciare?

-Negli ultimi anni non mi è mai capitato ma generalmente quando parto con un obiettivo è perché secondo me a livello inconscio ci sono strategie tecniche di mental coach perché quando si costruisce non si conoscono le caratteristiche dell’obiettivo perché ognuno le ha già imparate. Prima di diventare campione si deve pensare a come esserlo. Io ho cominciato invece a pensare da professionista quando lavoravo come dipendente, ho iniziato il percorso nel 2011 e sono diventato professionista solo nel 2014 avendo famiglia, figli, mutuo, casa e lavoro sulle spalle e alla fine dopo aver dedicato le mie attenzioni a loro studiavo. Faccio sempre l’esempio del treno. Aspetto il treno che passa così ci salgo sopra. Se tu stai seduto sul divano non vedi il treno perché non sai ancora qual è quello giusto che devi prendere oppure se sei completamente fermo, passa il treno ma non riesci a prenderlo, ti tira per il braccio. Tu quando passa il treno devi essere pronto a sapere se è il tuo e poi devi essere in velocità e salti e lo prendi. Quando passa però non si hanno tutte le competenze. Il fatto che io mi sia licenziato è stata la sfida più grande che ho vinto perché sono salito sul treno ma non avevo ancora tutte le competenze ma se aspettavo a licenziarmi per averle io ancora sarei in azienda. Ovviamente non mi sono buttato nel vuoto, ma neanche nella completa certezza. Prima di saltare però ho dovuto riflettere ben 4 anni. La riflessione è importante anche per capire chi sei e cosa vuoi essere. È già tutto dentro di te però bisogna andare a capire come accendere la fiamma della motivazione su un obiettivo in modo da perseguirlo. La mente va curata come l’alimentazione, la salute, l’allenamento e il riposo. Dopo una corsa una mattina mi sono svegliato con un dolore alla schiena, ho sentito un messaggio che il mio corpo mi ha lanciato e mi ha detto: “va bene lo sport ma adesso basta la corsa con una gamba è un po’ troppo” o meglio hai l’obiettivo di arrivare alle Paralimpiadi di Rio 2016 e poi fermarti oppure hai intenzione di andare avanti nello sport? Il mio obiettivo è andare in bici fino a 100 anni e questo è importante perché se io avessi continuato col percorso di Rio 2016 l’avrei fatto con antinfiammatori e forse con un’operazione sulle spalle. Ho deciso di non andare a Rio e di tenermi la schiena sana piuttosto di imbottirmi di medicine e avere la schiena tagliata. E dal punto di vista psicologico queste scelte sono molto importanti. Su queste cose bisogna lavorarci perché sono quelle scelte che ti condizionano per sempre. Il 18 maggio sono stato investito da una macchina, mi sono schiantato con la bici tra la portiera e lo specchietto e con la spalla, il braccio e il moncone ho picchiato contro il piantone della macchina. Il moncone è diventato grosso il doppio, nero dall’ematoma e avevo una frattura sul femore di 15 centimetri. Al pronto soccorso mi hanno detto che mi dovevo operare, mettere placchetta e viti e io ho detto:” ma aspetta un attimo, prima di farmi tagliare ancora, -pensando alla prossima avventura in Perù-  secondo me l’unico modo per guarire in fretta da questa cosa è farmi firmare una carta e andare a casa”. Dopo 11 giorni con una frattura del genere ero sull’argine ad allenarmi con le stampelle e al 14° giorno ero in sella alla mia bici per pedalare fino in Perù. Al 18° giorno andai dall’ortopedico, lui mi disse che non capiva com’era stato possibile che il mio femore stava bene, mi disse che era un miracolo. Se io avessi mollato all’operazione oggi, Andrea avrebbe un’operazione alla schiena e un’operazione al cuore e non sarei potuto andare in Perù e scrivere un altro libro su quest’esperienza.

4) Nonostante il drammatico incidente di cui è stato vittima e le conseguenze che ha avuto sul suo fisico, la sua carriera di atleta è stata segnata da una serie di imprese memorabili. Le medaglie del triathlon, l’ascesa dall’Etna in bici e via trekking sembrano non porsi dei limiti. Ma i limiti esistono? Se si cosa sono esattamente?

-I limiti ci sono e per la maggior parte ce li costruiamo nella testa. I limiti sono frutto di esperienze vissute sulla propria pelle in prima persona e talvolta rappresentano l’influenza che hanno le persone su di noi e che di conseguenza condizionano i nostri limiti. È fondamentale capire questi ultimi e abbattere poi le barriere mentali in modo da superarli e da avere un chiaro obiettivo che deve essere fattibile e motivante dove ci deve essere al primo posto l’autostima. Man mano che si superano le sfide si aumenta il livello di difficoltà ed è stato questo che mi ha insegnato il viaggio in India, e in Perù ancora di più. Tutte le difficoltà sul percorso si superano piano piano, passo dopo passo.

5) Quanto è stata importante la sua famiglia dopo l’incidente?

-La famiglia è stata fondamentale. È stata un pilastro per me. Anche loro avevano molte barriere mentali e me ne hanno installate tante però è stata ed è colonna portante della mia vita. Mi piace lavorare con persone che subiscono traumi importanti e con le persone che sono a stretto contatto con queste. Una volta che le persone ti fanno creare una convinzione in testa è molto complicato toglierla. Anche se dopo un incontro sembra che tutto sia finito, no, è proprio da lì che si ricomincia. Quindi non si deve partire da chi è demotivato ma da chi demotiva e questi aspetti spesso possono anche coincidere. Perciò anche lavorare sulle persone è importante perché se non mi avrebbero inculcato barriere mentali il mio percorso sarebbe stato più facile.

6) Come hanno reagito i suoi quando ha ricominciato a praticare sport?

-Erano molto titubanti infatti solo dopo due anni ho acquistato la mia mountain bike e con la tecnologia dell’arto artificiale riuscivo a pedalare ma pensate a come lo sfregamento della protesi faceva sanguinare il mio inguine e alla fine ho detto: Ma perché andare in bici se mi fa male? Così ho abbandonato la bici e mia mamma in questo ha avuto un ruolo molto importante perché diceva che per andare in bici dovevo utilizzare la protesi. Forse non me l’ha mai detto ma anche per lei c’era una barriera mentale che non permetteva a un ragazzo con una sola gamba di andare in bici senza protesi. Appena mia madre ha visto che i risultati arrivavano anche, pian piano le sue barriere sono crollate. In questo abbattimento delle barriere però ho insegnato più io a loro piuttosto che loro a me attraverso tutto ciò che riuscivo a fare: mi sono diplomato, ho messo su famiglia, praticavo sport e tutto il resto. Con difficoltà loro hanno accettato il mio abbandono della protesi e quando mi sono sposato, tutti, amici e parenti erano ansiosi di vedere se indossavo la protesi oppure no. Ho voluto sposarmi con le stampelle, perché io sono Andrea a cui è stata amputata una gamba e che ho abbandonato la protesi e sì nella giornata più bella della mia vita ho indossato le stampelle e l’ho vissuta come desideravo. Nessuno si aspettava che non indossassi la protesi e quando sono uscito dal portone di casa sono rimasti tutti stupiti, ho capito che era un’altra barriera mentale da abbattere. Mia moglie mi ha accettato. La nostra storia è unica come tante altre storie.

7) Che cosa ne pensa dello spazio dedicato agli atleti paralimpici le cui imprese memorabili sono spesso trascurate?

-Da Londra 2012 sono state più seguite le paralimpiadi che le olimpiadi ma il peccato è che solo ogni 4 anni i riflettori si accendono su una realtà che dovrebbe avere il giusto merito. Un atleta vincitore della medaglia d’oro dopo le paralimpiadi mi disse: -Peccato che i riflettori adesso si spengono! Sarebbe bello che anche le aziende capiscano chi siamo e cosa siamo capaci di trasmettere.

8) Di che cosa si tratta il Progetto 22?

Tutti sappiamo che c’è bisogno di soldi per dei progetti, il giro formativo è realizzato grazie a degli investimenti, ma non ho la possibilità familiare di investire molto denaro per costruirmi una realtà coinvolgendo amici e aziende. Troppi atleti non avendo la possibilità economica sono costretti a smettere di praticare le proprie passioni. Speriamo che le aziende capiscano che non è solo uno spendere soldi ma c’è molto altro. Bisogna credere nei giovani, l’ho visto con progetto 22 dove ho visto accadere dei piccoli miracoli e ho visto portare le testimonianze di voi giovani che ci riuscite e così solo ce la si può fare.

9) Quindi cosa direbbe a uno sportivo o a un giovane adolescente?

-Io consiglio di sognare perché man mano si cresce. I sogni sono sogni finchè restano nella nostra testa, sta a noi trasformarli poi in obiettivi ed essere concretizzati. Il sogno è una cosa metaforica però bisogna considerare la fattibilità di questo. Non ci dà niente nessuno, ogni cosa ce la dobbiamo guadagnare con impegno e motivazione

10) Quali sensazioni le ha regalato il famoso sito archeologico di Macchu Picchu in Perù?

-Macchu Picchu era un sogno nel cassetto Io credo molto nell’energia, credo all’energia spirituale e all’energia della Terra. È uno dei siti archeologici più straordinariamente ricchi di energia. Quando ho capito che ci potevo arrivare in sella alla mia bici è stato un qualcosa di incredibile. Voi tra l’altro dal punto di vista energetico avete “Vulcano” nelle isole Eolie dove i quattro elementi: terra, acqua, fuoco e aria sono perfettamente allineati. In generale però tutta la Sicilia è energetica, come anche l’Etna. Tutti siamo fatti di energia come la terra, e in Sicilia la si sente in modo particolare.

11) Quale sarà la sua prossima meta?

-Sarà Vulcano. Andremo a scoprire le fonti di energia e a superare un nuovo ostacolo. Questo sarà il prossimo obiettivo.

SILVIA PINO III E BS

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