venerdì, Novembre 22, 2024
Scienza

HCV: LA FINE STA ARRIVANDO

Il virus dell’epatite C (HCV) fu identificato per la prima volta nel 1989 attraverso lo screening del sangue di uno scimpanzé infetto. Il virus appartiene alla famiglia dei Flaviviridae, ha un diametro di 30-60 nm con un genoma ad RNA positivo, ed è munito di envelope. L’HCV infetta solo l’uomo e lo scimpanzè e si lega alle cellule utilizzando il recettore di superficie CD81. Il virus si replica come gli altri flavivirus ma resta nel reticolo endoplasmatico ed è associato alla cellula.

Le proteine dell’HCV inibiscono l’apoptosi e l’azione dell’interferone α legandosi al recettore del fattore di necrosi tumorale (TNFR) e alla proteina chinasi R (PKR). Ciò previene la morte della cellula ospite e consente l’instaurarsi di un’infezione persistente che provoca un danno epatico a lungo termine. L’HCV infetta più di 170 milioni di persone in tutto il mondo ed è il più importante agente eziologico della cirrosi epatica e del carcinoma epato-cellulare (HCC). Quest’ultimo è un tumore abbastanza comune (al 5° posto nel mondo) e rappresenta la terza principale causa di morte per cancro. Una terapia prolungata a base di farmaci contenti interferone e ribavirina ha causato in molte persone problemi di tollerabilità.

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Ecco perché si è arrivati alla formulazione dei nuovi antivirali ad azione diretta (DAA) che impediscono all’HCV di moltiplicarsi, garantendo percentuali elevate di guarigione. Diversi studi clinici testimoniano, infatti, che questi nuovi regimi terapeutici possono raggiungere tassi di guarigione superiori al 90%, anche in pazienti in cui la precedente terapia a base di interferone non abbia avuto successo. Le prime molecole, Sofosbuvir, Simeprevir, Daclatasvir, la combinazione Sof/ledipasvir e la terapia 3D, sono state approvate nella prima metà del 2015. Nel 2016/2017 saranno a disposizione altre molecole come Grazoprevir ed Elbasvir, oltre alla combinazione Sofosbuvir/Velpatasvir e, a distanza probabilmente di un paio di anni, le molecole attualmente in fase III di sperimentazione clinica, ABT-493 e ABT-530. Numerose sono, quindi, le molecole in via di sviluppo ancora in fase iniziale di sperimentazione, ma che sono destinate ad arricchire e completare lo scenario terapeutico. L’obiettivo primario è di intervenire su tutti i genotipi dell’HCV (azione pangenotipica) in maniera più efficace, anche su pazienti difficili da trattare perché affetti da altre patologie (cirrosi, problemi renali o in dialisi), riducendo la durata della terapia, INF-free e, talvolta, anche senza RBV, ad otto settimane. Questi farmaci possono essere somministrati a tutti i pazienti colpiti da HCV, compresi quelli che non possono ricevere, per varie ragioni, le terapie tradizionali a base di interferone, e che così avranno una concreta possibilità di guarigione. Gli unici ad essere esclusi da questi nuovi trattamenti saranno i malati terminali.

Questi antivirali, pur segnando un grande passo in avanti nella lotta contro le malattie infettive, molto diffuse nei paesi più poveri e che minacciano gravemente la vita dell’uomo, purtroppo sono anche molto costosi e solo una fetta della popolazione mondiale potrà accedervi. Inoltre, come ogni cosa nuova, non sono esenti da critiche e polemiche, come quella apertasi tra la FDA (Food and Drugs Administration) e il Dr. Raymond Chung, direttore del Dipartimento di Epatologia del Massachusetts General Hospital di Boston. L’ente americano sostiene che l’utilizzo dei farmaci anti-HCV in pazienti infetti o guariti da HBV, virus dell’Epatite B, possa causare la riattivazione del virus stesso, mentre il Dr. Chung afferma che la riattivazione del virus non sia correlato alla tossicità dei farmaci.

Hancha Hassen e Saija Filippo – VB BS

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