Identità femminile e scelte religiose.
I recenti fatti di cronaca, soprattutto quelli accaduti in Francia, stanno alimentando in noi europei una crescente e naturale diffidenza verso le differenze culturali.
La Francia, ad esempio, è di fatto un Paese che ha accolto al suo interno, tra immigrazione ed eredità coloniale, milioni di musulmani ma sembra essere diventata il bersaglio di numerosi e tragici attacchi terroristici.
Accade dunque che in questa atmosfera si tenda in modo generico e assolutamente istintivo ad associare tutto ciò che riguarda l’Islam al terrorismo e alla politica del Califfato islamico.
Eppure oggi, al di là dei casi estremi dei Foreign fighters, cioè di coloro che scelgono di partire ed arruolarsi nelle milizie dell’ISIS, gli insegnamenti del Corano e la religione islamica sono ciò a cui si rivolgono molti europei, in particolare numerose donne, che sempre di più abbracciano i precetti di un nuovo credo soprattutto per amore, in seguito a un matrimonio con un uomo di religione musulmana, ma anche come traguardo di una ricerca introspettiva, per trovare risposte ai propri dubbi sull’esistenza.
È vero che anche il Cristianesimo alle sue origini presentava fortissimo il valore del pudore e della sottomissione della donna al marito, ma è vero anche che, nel corso dei secoli, i costumi della comunità cattolica si sono evoluti, dimostrando soprattutto negli ultimi tempi e con il pontificato di Jorge Bergoglio una quasi totale apertura alle esigenze dei giorni nostri.
Allora mi chiedo cosa possa spingere un giovane donna europea o italiana ad accostarsi ad una religione che impone misure rigorose alle donne, soprattutto quando devono mostrarsi in pubblico. Una donna che decida di abbracciare i precetti del credo islamico può solo in rari casi presentarsi con il capo interamente scoperto. Islam non a caso significa sottomissione e la donna deve scegliere fra vari tipi di copertura, dal burqa, il velo integrale, al chador, il velo che copre testa e fronte, all’hijab, di fatto un foulard avvolto intorno al capo e quindi forse la versione meno rigorosa.
Chi opera questa scelta si difende spiegando che indossare il velo significa continuare a curare il proprio corpo ed essere desiderabili soltanto tra le mura domestiche, in segno di rispetto verso Allah e verso l’uomo che le ha scelte come spose. Il velo diventa probabilmente e a questo punto più uno strumento di identità e di appartenenza ad una comunità religiosa che un oggetto di mortificazione e sottomissione.
Aggiungiamo anche che dove non vige la Sharia le donne musulmane non vivono in condizioni di forte discriminazione e hanno conseguito parecchi privilegi, un tempo riservati esclusivamente agli uomini.
Il fenomeno delle conversioni è pertanto in crescita, anche se, secondo le convinzioni islamiche si tratterebbe di un semplice “ritorno”, in quanto tutti gli uomini nascono originariamente musulmani. E i casi di questi “ritorni” sono così numerosi in Italia che una scrittrice, Silvia Layla Olivetti, anche lei convertita all’Islam, è diventata l’autrice di un libro intitolato Diversamente Italiani, in cui racconta 24 storie di donne e uomini, per l’appunto italiani, che hanno deciso di “sottomettersi” ai precetti del Corano.
Ma voltiamoci indietro e osserviamo anche da un punto di vista estremamente laico la “Storia” al femminile, l’evoluzione dei costumi sociali, i traguardi raggiunti, da quelli fondamentali per il conseguimento della parità tra i due sessi, come il diritto di voto a quelli più frivoli come la minigonna di Mary Quant o l’invenzione del bikini.
Diventa pertanto lecito interrogarsi sul perché di una scelta che riporta in molti casi le donne ad un punto zero di un percorso che aveva ben chiari i suoi obiettivi e la strada da percorrere per proclamarle esseri indipendenti, capaci di agire in piena consapevolezza e di operare scelte in totale autonomia
Probabilmente il fenomeno delle conversioni potrebbe farci pensare al fatto che stiamo attraversando un periodo di enormi incertezze, il che ci porterebbe infatti a comprendere il perché di un’adesione così ampia ad una religione che ha la caratteristica di imporre costanti regole di vita quotidiana o produrre un così forte senso di appartenenza alla propria comunità.
Perché proprio in una società allo sbando dal punto di vista economico e morale, in cui vige l’alienazione dal gruppo, in cui domina la disoccupazione e il senso di inadeguatezza alle richieste del sociale, l ’individuo annaspa alla ricerca di punti fermi, saldi che possano restituire identità e significato alla propria esistenza.
Anna Formica
Bell’articolo attuale ed interessante!