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I numeri primi (da Ansa.it)

indexSono considerati i mattoni della matematica perché tutti gli altri numeri sono loro multipli: sono i numeri primi, ossia tutti i numeri maggiori di 1 che sono divisibili solo per 1 e per se stessi. Al contrario, i loro multipli, chiamati numeri composti, hanno più di due divisori.

Per esempio, 2, 3 e 5 sono primi, mentre 4 e 6 non lo sono perché sono divisibili rispettivamente anche per 2 e per 2 e 3. C’è solo un numero primo pari ed è 2, perché tutti gli altri numeri pari sono divisibili per 2, gli altri numeri primi sono tutti dispari. La successione dei numeri primi inizia con 2, 3, 5, 7, 11, 13, 17, 19, 23, 29, 31, 37 ma questi numeri sono impossibili da elencare tutti perché sono infiniti.

L’interesse dell’uomo per questi numeri speciali è antichissimo, addirittura millenario: ”Nel 1960 – spiega il matematico Elmo Benedetto, dell’università di Salerno – è stato rinvenuto vicino a Ishango, presso il confine tra l’Uganda e il Congo, un osso di babbuino risalente a oltre il 20.000 A.C. circa. Che relazione ha con i numeri primi? In una delle colonne in cui è suddiviso l’osso, compaiono 11, 13, 17 e 19 tacche”. Non si sa se questi uomini preistorici conoscessero già i numeri primi, ma certo è anche strano pensare che le incisioni sull’osso siano state fatte a caso.

Al secondo millennio a.C, appartengono invece alcune tavolette e papiri che contengono alcune informazioni sui numeri primi. In ogni caso la prima traccia incontestabile di un vero studio dei numeri primi è costituita dagli Elementi del matematico greco Euclide, un libro composto tra il IV e il III secolo a.C., che fornisce un quadro completo delle conoscenze matematiche del tempo.

I numeri primi, prosegue Benedetto, possono anche avere dei gemelli: ”sono chiamati numeri primi gemelli due numeri primi che differiscono tra loro di due”. Alcuni esempi di coppie di primi gemelli sono: 3,5; 5,7; 11,13; 17,19; 29,31. ”Euclide si chiese: Quanti sono i gemelli? Si suppone siano infiniti – conclude Benedetto – ma nessuno è ancora riuscito a dimostrarlo da 2.300 anni”

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